Infermieri in ambulanza: l’assurda invasione di campo è dell’Ordine dei Medici di Bologna. di Antonio Panti

Ha fatto notevole scalpore la decisione dell’Ordine dei Medici di Bologna di radiare l’Assessore alla Sanità della Regione Emilia (per caso un medico) reo, ad avviso del Consiglio, di favoreggiamento all’esercizio abusivo della professione per aver firmato una delibera della Giunta Regionale con la quale si affidavano a infermieri, ovviamente dopo il superamento di apposito corso, il soccorso su ambulanze del 118 nei casi previsti da appositi protocolli operativi approvati dalla Regione e sempre seguiti da un medico operante in centrale. Una decisione che in un paese normale avrebbe provocato l’immediato commissariamento dell’Ordine.


Non c’è bisogno di grande acume per collocare la vicenda della radiazione dell’assessore Regionale alla salute per l’Emilia-Romagna, Sergio Venturi, all’interno di una logica tutta partitica “bolognese”. Lega e Forza Italia chiedono le dimissioni dell’Assessore per aver adottato lo stesso modello di 118 (ambulanze di 3 tipologie, mediche, infermieristiche e prive di personale sanitario) che da tempo funziona in Lombardia e in Veneto dove quelle forze politiche governano. Siccome la Costituzione afferma che la sovranità appartiene al popolo chi in suo nome la esercita, è evidente che chi svolge una funzione elettiva non può risponderne disciplinarmente a una singola categoria. L’amministratore risponde ai cittadini e alle leggi dello Stato. L’impressione è di una qualche confusione tra deontologia e politica.

Anche gli Ordini della Toscana protestano per la gestione del  118. Ricordo però che nel novembre 2009  hanno unanimemente sottoscritto un documento col quale si “propone un processo normativo che, senza modificare i profili professionali, definisca all’interno dei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali le competenze professionali degli infermieri, affidando a essi l’autonoma gestione e la conseguente assunzione di responsabilità di prestazioni per le quali vi è stato un percorso formativo specifico attestato dalla Regione all’interno di protocolli condivisi consentendone l’esecuzione soltanto nel contesto di specifico riferimento”.

Appare subito chiaro che questo contrasto, a prima vista abbastanza stravagante, nasce dal timore dei medici di perdere una possibilità di lavoro mentre gli Ordini, custodi della professionalità, sostengono che, invece, questa opposizione nasce proprio dall’interesse alla miglior tutela della salute della popolazione che sarà certamente meglio assistita da un medico piuttosto che da un infermiere.

In Toscana da oltre dieci anni sono stati adottati i protocolli che adesso utilizza anche l’Emilia e che sono in uso in altre Regioni di destra o di sinistra (cosa che non sembra interessare il paziente al momento dell’urgenza). Nella nostra Regione convivono tre tipi di soccorso (con  ambulanze medicalizzate, solo infermieristiche o solo con soccorritori non professionisti sanitari); si eseguono circa 450.000 interventi l’anno, diversi milioni negli ultimi dieci anni, senza incidenti esterni o interni, il medico è in centrale 24 ore, 7 giorni la settimana. I medici operanti sono per circa la metà dipendenti, gli altri convenzionati quasi tutti a tempo indeterminato. Il problema non sta nel soccorso infermieristico (si applicano algoritmi sui sintomi che possono usare medici, infermieri e, nei paesi del nord, semplici soccorritori formati), ma nel fatto che quando si muove il medico non può essere solo: in questi casi (invero assai rari) c’è bisogno di un team.

Siffatta organizzazione nasce dal fatto che, a suo tempo, ci siamo seduti intorno a un tavolo nel contesto dell’organismo professionale della Regione (allora il Consiglio Sanitario Regionale) e abbiamo trovato un accordo nell’interesse primario del paziente. È quello che il Presidente della FNOMCeO fa notare: il rapporto istituzionale, oggi favorito dal protocollo d’intesa raggiunto tra Federazione e Regioni, consente uno svolgimento democratico del confronto. La legge professionale consente all’infermiere di assumere compiti (le mansioni sono abbandonate in quanto non pertinenti al personale laureato) a seconda delle normative vigenti, del contenuto e degli obbiettivi del curricolo universitario e delle regole previste dal Codice Deontologico. Dall’esame di questi testi non si evince alcun divieto allo svolgimento delle prestazioni richieste dall’assistenza a un paziente in emergenza territoriale. Inoltre il testo della nuova regolamentazione della professione infermieristica, in gestazione da anni, prevede che, dopo laurea triennale, il biennio che completa il quinquennio previsto per la laurea magistrale abbia, tra le altre articolazioni, quella in emergenza urgenza.

In molti paesi del mondo il pick up dei pazienti nel territorio è affidato a personale non sanitario che ha svolto lo stesso corso di base che, però, medici e infermieri seguono in modo molto più avanzato date le loro conoscenze di base. È chiaro che il problema non sussiste da un punto di vista deontologico. I codici deontologici dei medici e degli infermieri obbligano alla collaborazione e a privilegiare il lavoro in team. Nello stesso tempo non esiste neppure una questione professionale. Non si vede infatti come personale sanitario laureato e che ha seguito corsi specifici non debba svolgere compiti che in ospedale o in sala operatoria già esegue.

Quindi, tornando a Bologna e a quell’infausta decisione che in un paese normale avrebbe provocato l’immediato commissariamento dell’Ordine, favoleggiare di favoreggiamento all’esercizio abusivo della professione di medico da parte di personale laureato e specificamente preparato e che opera secondo protocolli predisposti da specialisti medici e avallati dall’autorità sanitaria, la Regione la Direzione Sanitaria della ASL, è assai fantasioso. Ricordo ancora una volta che la Regione Emilia aveva da poco insediato un tavolo di confronto e di discussione con gli Ordine sui temi dell’assistenza sanitaria nella Regione. Un’ottima occasione per confrontarsi secondo le regole della democrazia partecipativa.

Al medico, in conclusione, spetta la diagnosi ermeneutica, la prognosi e gli interventi che esigono una preparazione scientifica di tipo superiore. Se ci pensiamo bene, inoltre, entro poco tempo i nostri smartphone renderanno disponibili app che probabilmente effettueranno le diagnosi algoritmiche meglio dei medici e degli infermieri. In un mondo in così tumultuosa evoluzione tecnologica francamente questa diatriba appare piuttosto di retroguardia.

Ecco perché, a mio avviso, il metodo migliore per affrontare il problema è l’incontro diretto tra medici e infermieri. Nella vicenda dei rapporti tra professioni laureate all’interno dei servizi della medicina moderna la soluzione non può essere la mera lotta per il posto di lavoro bensì quella di elevare il livello culturale di tutti i professionisti e di favorire sempre il lavoro di squadra. Le prestazioni dovrebbero essere svolte secondo competenza e il medico sovrintendere a tutto il percorso assistenziale.

Antonio Panti è stato Presidente dell’Ordine dei Medici di Firenze e direttore della rivista “Toscana Medica”.

Fonte: saluteinternazionale.info

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