La sicurezza è accesso ai diritti. di Sergio Moccia

La sicurezza è la promessa fondamentale della Sovranità e nello stato sociale di diritto, prefigurato nella Costituzione italiana, si connota in egual misura per profili di derivazione liberale e solidaristica.

Il governo della sicurezza non può ridursi alla soddisfazione della pur basilare esigenza di protezione dalla criminalità, da un lato, e, dall’altro, per i soggetti svantaggiati, nella soddisfazione dell’essenziale esigenza di protezione dai processi di criminalizzazione, ma deve intendersi nel senso dell’assicurazione del godimento pieno dei diritti fondamentali. In realtà, la prerogativa pubblica della sicurezza corrisponde al bisogno di essere garantiti nell’esercizio di tutti i propri diritti: diritto alla vita, al libero sviluppo della personalità, diritti di espressione e di partecipazione, e così via.

La crisi della gestione della sicurezza riflette un sistema della giustizia inefficace, causa di sentimenti diffusi di insicurezza. In realtà, l’intervento repressivo viene sempre più valorizzato come mera risorsa simbolica e rivela l’incapacità di garantire livelli soddisfacenti di sicurezza. Quindi avanti con “leggi manifesto”, com’è ormai tradizione, ad esempio, in rapporto agli inasprimenti della disciplina del furto ed all’ampliamento dell’ambito della difesa legittima.

Il termine sicurezza non viene, per lo più, declinato in un’accezione molto significativa: garantire la sicurezza di accesso ai propri diritti. È naturalmente doverosa la tutela della sicurezza rispetto a chi aggredisce; ma è altrettanto doverosa la tutela della sicurezza rispetto a chi da posizione estrema, ai margini, dev’essere posto nella condizione di non essere esposto al rischio di reati. I migranti sbattuti per strada sono soggetti marginali per i quali il “reddito da lavoro dipendente” dalla criminalità organizzata o dagli schiavisti del lavoro nero, può costituire una prospettiva di soddisfazione di bisogni essenziali, in un contesto di grave mancanza di alternative.

In effetti, dal punto di vista giuridico, ma anche psicologico, sicuri dovrebbero essere, innanzitutto, i soggetti titolari di diritti fondamentali, in particolare di quelli universali, che spettano non solamente alle persone fisiche fornite di cittadinanza dello Stato in cui si trovano, ma a tutte quelle che si trovano nel territorio di uno Stato civile. La verità è che un numero enorme dei titolari dei diritti e la maggior parte dei territori a rischio sono esclusi dalla sicurezza.

Una volta che ci si è dimenticati di garantire la sicurezza dei diritti di un certo numero di soggetti vulnerabili appartenenti a gruppi marginali o “pericolosi” – stranieri, tossicodipendenti, poveri, disoccupati – le persone vulnerabili e senza alcun potere, che soffrono lesioni dei loro diritti umani, sociali ed economici vengono considerati solo quali potenziali aggressori dei diritti dei soggetti socialmente protetti. Una vera sicurezza per tutti potrà aversi allora attraverso un’effettiva applicazione della Costituzione.

Se questa strada non è intrapresa, se sale il livello della disuguaglianza e della violenza strutturale nella società, non vi saranno le condizioni sufficienti per l’esistenza di un diritto delle garanzie, ma solo per un modello giuridico autoritario ed emergenziale, qual è quello che si sta affermando. Si tratta di un modello pseudo-efficientistico che si rifiuta di apprendere e, invece di cercare soluzioni realmente efficaci, aumenta solo la risposta repressiva a detrimento della legalità costituzionale e della stessa sicurezza.

Fonte: RISTRETTI ORIZZONTI (da Il Manifesto 8.2.2019)

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