Prima agli italiani: la spesa dei Comuni per i servizi sociali. di Mattia Vitiello

La brusca frenata degli ingressi per motivi di lavoro e la contemporanea impennata degli arrivi via mare sposta e focalizza l’attenzione dell’opinione pubblica e della politica sulla novità rappresentata dal deciso aumento dei richiedenti asilo e dalla trasformazione dell’Italia in un paese di asilo.

Questa novità oscura la maturazione dei processi di integrazione, la questione delle seconde generazioni e dei loro bisogni di cittadinanza, per ridurre questo composito fenomeno al tema dei rifugiati e alle problematiche dell’accoglienza.

Ma è proprio sull’accoglienza dei richiedenti asilo e sui suoi costi che la retorica anti-immigrazione ha trovato il cavallo di Troia per fare breccia nell’elettorato italiano.

Questo articolo prende in esame la spesa che i Comuni sostengono per l’implementazione dei servizi sociali a sostegno dei processi di integrazione della popolazione immigrata. A fronte di una popolazione in continua crescita in cui i processi di integrazione comportano la moltiplicazione dei bisogni e della domanda di servizi specifici, la spesa sociale dei Comuni assume un rilievo crescente che dovrebbe portare a una loro strutturazione territoriale sempre più ampia, articolata e organica. Negli ultimi anni, i servizi territoriali hanno conosciuto una moltiplicazione della domanda contrapposta a una progressiva restrizione dell’offerta. In un contesto territoriale segnato dalla crescita dei rischi di povertà ed esclusione sociale, la riduzione dei. e degli interventi sociali non può non generare dei conflitti distribuitivi tra gli utenti del sistema di welfare. Questa potenziale competizione tra utenti per un bene scarso viene ideologicamente rappresentata come un conflitto agito tra l’italiano e l’immigrato in cui quest’ultimo fa la parte dell’accaparratore e della causa della scarsità dei servizi.

Il quadro delle spese sociali dei Comuni si presenta alquanto complesso e frammentato ma l’analisi dei dati lascia ipotizzare che vi sia in atto una graduale monetizzazione a scapito dell’erogazione diretta dei servizi e degli interventi sociali da parte degli enti territoriali. La restrizione dei servizi e degli interventi sociali riguarda tutte le aree di utenza seppure con intensità differenti, la loro monetizzazione invece viene focalizzata su quegli utenti che vivono le situazioni di maggiori difficoltà e che sono a più alto rischio di esclusione sociale. Tra questi gli immigrati sono i più esposti. Pertanto il contributo monetario, riservato agli ultimi nella scala sociale come identificata dall’indicatore della situazione economica equivalente (Isee), vede negli immigrati il destinatario prioritario, in quanto primi nella gerarchia del bisogno. I dati hanno mostrato chiaramente che solamente le spese destinate all’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati hanno conosciuto un aumento reale finanziato prevalentemente dalla Commissione europea mentre la spesa sociale dei Comuni negli ultimi anni ha conosciuto una generalizzata propensione al calo.

La colpevole frammistione della spesa per le politiche sociali, di cui gli immigrati sono solamente una delle aree di utenza, e della spesa per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati serve a nascondere come nella realtà dei fatti la spesa sociale per i servizi destinati agli immigrati abbia seguito lo stesso destino avuto dalla spesa sociale in generale. La confusione dei livelli di spesa, dei beneficiari e dei fondi di finanziamento, aggiunta all’invenzione di servizi per i rifugiati inusitati, dipingono un quadro del rifugiato come fonte di tutti i disservizi, sprechi e problemi della società italiana che diventa presto egemone nell’opinione pubblica.

I motivi di questo mutamento dell’opinione pubblica nei confronti del fenomeno dell’immigrazione sono sicuramente molteplici ma molti di questi trovano la principale ragione nelle conseguenze della crisi economica e nelle politiche di austerity che hanno peggiorato le condizioni di vita delle famiglie monoreddito con disoccupati e che non hanno ricevuto un sostegno adeguato da parte del sistema di welfare italiano. L’aumento dei rischi di esclusione sociale e di impoverimento in combinazione con l’aumento della percezione di questi rischi non hanno fatto altro che aggiungere un sentimento di precarietà esistenziale a condizioni di precarietà economica e sociale. Il sentimento di precarietà esistenziale e condizioni economiche difficili fugano ogni speranza e producono il timore che la situazione possa peggiorare nel futuro.

La paura del futuro viene amplificata in quanto chi dovrebbe fugarla, cioè i gestori della cosa pubblica, additano nei nuovi arrivati come la minaccia alla nostra sicurezza economica e sociale. I nuovi arrivati sono definiti come poveracci, disperati, bisognosi e noi vediamo in loro la nostra immagine deformata e abbiamo paura. Abbiamo paura che il nostro futuro ci riservi un destino simile al loro e voltiamo lo sguardo. In una situazione in cui la paura del domani domina i nostri sentimenti e pensieri, la perdita della speranza zittisce/uccide ogni sentimento di solidarietà. Lasciando spazio ai soli sentimenti di autoconservazione, della ricerca della sopravvivenza del proprio sé e del proprio corpo sociale. Sentimenti che si nutrono di principi di distinzione e di esclusione dell’altro da sé.

Non è semplice egoismo che fa dire «prima gli italiani», ma è la percezione chiara e nitida della disgregazione del legame sociale in atto. In un vuoto di progettualità altra, di proposte alternative per la ricostruzione del legame sociale su basi egualitarie e solidaristiche, la soluzione più semplice e immediata è quella di identificare un nemico esterno che non funzioni solamente come capro espiatorio ma anche come elemento unificante. Se io affermo: Prima gli italiani! Dico che gli italiani siamo noi e che noi siamo più importanti. A questo livello del discorso non ho bisogno di dire chi sono gli italiani perché io mi identifico con gli italiani in quanto voglio essere primo e voglio stare in buona compagnia, cioè con i primi. Ma questo discorso è destinato a una rapida usura perché i due poli (italiani e non italiani) hanno bisogno di ulteriori definizioni per continuare a svolgere la sua funzione rassicurante. Per evitare che la sua usura ci porti verso derive più escludenti occorre proporre un progetto alternativo di ricostruzione del legame sociale.

Fonte: la Rivista delle Politiche Sociali / Italian Journal of Social Policy, 2/2019 RPS

Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 2 2019 di Rps e scaricabile anche cpme singolo articolo dagli abbonati nella versione integrale al link: https://www.ediesseonline.it/prodotto/rps-n-2-2019/

Mattia Vitiello è ricercatore presso l’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (IrpssCnr)

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