Autismo e malattie rare. Il punto sulla ricerca e sugli interventi socio-sanitari. di Carlo Gnetti

Alla fine degli anni 90 il medico inglese Andrew Jeremy Wakefield lanciò un allarme, rivelatosi poi del tutto infondato, sulla correlazione fra autismo e vaccinazioni. Tale correlazione è stata derubricata tra le fake news che infestano la nostra epoca, e Wakefield è stato radiato dalla professione medica. Resta tuttavia il dato assai preoccupante che riguarda l’aumento dei casi di autismo tra i bambini: secondo le stime divulgate dall’Istituto superiore di Sanità l’autismo in Italia colpirebbe tra le 5 e le 8 mila persone (1 su 77 nuovi nati, in linea con i dati internazionali). L’incidenza sarebbe di 14,6 bambini su 1000 nati nel 2004, contro i 6,7 del ’92. Dunque, un trend decisamente in crescita.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità l’autismo non presenta caratterizzazioni precise dal punto di vista etnico o geografico ed è più frequente tra i maschi (il rapporto è di 4 maschi e una femmina). Negli Stati Uniti il numero di persone che presentano un disturbo autistico si aggira intorno ai 3,5 milioni. Nel mondo si arriverebbe addirittura a 60 milioni. È bene precisare che si tratta di stime approssimative, e che l’autismo (o meglio i disturbi dello spettro autistico, poiché parliamo di patologie differenziate e di natura complessa) comprende una serie di patologie difficilmente classificabili in modo omogeneo, un po’ come avveniva in passato con la schizofrenia e oggi con la depressione, divenuta una specie di ombrello onnicomprensivo che include malattie tra loro diversissime. Nell’autismo, infatti, sono comprese varianti come il ritardo mentale (oggi si preferisce chiamarlo disabilità cognitiva), la sindrome di Asperger (ne sarebbe affetta Greta Thunberg), caratterizzata da difficoltà di interazione e da attività limitate e ripetitive, la sindrome del cromosoma X fragile, la sindrome di Phelan McDermid, la sindrome di Rett, associata a mutazioni nel gene MECP2, che colpisce soprattutto le femmine ed è considerata un modello per lo studio di malattie del neurosviluppo, con le sue varianti (l’anomalia molecolare detta CDKL5 e la cosiddetta variante di Zappella, dal nome del medico e studioso italiano che se n’è occupato per primo), queste ultime collocate al confine fra autismo e un’altra serie di patologie di tipo motorio e neurologico.

In breve ci sono troppi “falsi positivi” che rispondono alle mode e a interessi extra clinici (può essere un affare l’autismo? Beh, in alcuni casi lo è). Inoltre bisogna tenere conto del fatto che i manuali diagnostici preferiscono puntare sulla valutazione della gravità piuttosto che sulla lettura dei quadri clinici sottostanti. Nell’ultima classificazione fatta dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM V), è rimasta la distinzione tra disturbo autistico lieve, medio e grave, ma non c’è più alcun accenno alla sindrome di Rett o all’Asperger. Il cambiamento dei criteri diagnostici associato ad altri fattori, come l’uso di test di screening e di valutazione più oggettivi (placebo, doppio cieco), sta migliorando il quadro rispetto al passato. Tuttavia, se fosse vera la componente genetica cara a molti studiosi, alcuni quadri clinici più specifici, come la sindrome di Rett e l’Asperger, andrebbero a sgonfiare questo calderone ipertrofico.

Comunque si continua a parlare di autismo come di un iceberg di cui si conosce solo la parte emersa, mentre l’enorme massa sottostante rimane in gran parte sconosciuta. A questo punto la domanda è: sono stati fatti progressi sulle cause della malattia e sulle cure? Un recente convegno che si è tenuto a Viareggio per iniziativa della fondazione Tiamo (Tutti Insieme Associazioni Malattie Orfane, di cui è direttore scientifico il neuropsichiatra infantile Giorgio Pini, già primario dell’ospedale Versilia, e che si avvale di un “testimonial” di eccezione come l’allenatore della nazionale italiana di calcio campione del mondo 2006 Marcello Lippi) ha fatto il punto sulla ricerca scientifica in questo campo e sulle misure di tipo medico e sociale avviate in Italia negli ultimi anni. Innanzi tutto va considerato che, quando si tratta di malattie rare, ovvero di un numero relativamente piccolo di pazienti, le industrie farmaceutiche e i centri di ricerca pubblici sono restìi a investire ingenti risorse. Tuttavia sono stati compiuti notevoli progressi con lo studio sui biomarcatori genetici, molecolari e neurofisiologici, e sulla valutazione dell’attività corticale in risposta ai farmaci. La dottoressa Daniela Tropea, biologa, ricercatrice e Assistant Professor nel Dipartimento di Neuropsichiatria del Trinity College di Dublino, ha descritto gli studi clinici sull’ormone Mecasermina (IGF1, Insulin-like growth factor 1) fatti in collaborazione con il centro Rett dell’Ospedale Versilia, e quelli in corso con sostanze sintetiche, come il trofinetide, da utilizzare in pazienti affetti da sindrome di Rett o da altre malattie rare. “Questa ricerca – ha spiegato la dottoressa Tropea – è innovativa perché utilizza misure oggettive della funzione cerebrale per identificare la risposta al trattamento in un disturbo del neurosviluppo, mentre i risultati precedenti erano basati su pareri soggettivi. Lo studio identifica nuovi marcatori misurabili per la prognosi e la valutazione del trattamento della sindrome di Rett e dei disturbi correlati, diventando uno strumento prezioso per la salute pubblica”.

Sul piano degli interventi in campo sociale va ricordato che negli anni tra il 1969 e il 1975 è cambiato l’approccio culturale nei confronti dei portatori di handicap, e si sono gettate le basi dell’integrazione scolastica di bambini una volta destinati alla segregazione. In questo quadro si colloca la chiusura delle scuole speciali e differenziali. Un forte impulso, poi, è stato dato dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale e dalla legge Basaglia nel 1978, che hanno concorso ad abbattere lo stigma e ad attenuare il senso di smarrimento e di angoscia delle famiglie. Molto resta tuttavia da fare per sostenere le famiglie e per diffondere la cultura della prevenzione. Un aspetto promettente, da questo punto di vista, riguarda l’uso delle nuove tecnologie. Il dottor Pini ha annunciato la disponibilità presso la Fondazione Tiamo di due strumenti acquistati grazie al finanziamento della Smurfit Kappa Foundation, in grado di aiutare le persone prive di parola a esprimersi attraverso il movimento degli occhi (Eye Tracking). Inoltre va salutato positivamente il ruolo crescente della medicina narrativa (ne ha parlato di recente anche Lancet Neurology), che raccoglie il vissuto dei pazienti e dei familiari e tiene conto del contesto sociale e culturale. Infine sono da apprezzare gli interventi in campo socio-sanitario per favorire l’inserimento dei pazienti affetti da autismo e l’integrazione scolastica degli alunni disabili, nella quale l’Italia vanta un primato tra i paesi Ue.

Appuntamenti come quello di Viareggio servono a consolidare la rete di cooperazione già operante in Italia. A titolo di esempio il Cnr, l’Istituto Superiore di Sanità, i servizi sanitari pubblici e molte associazioni si sono resi disponibili a mettere in campo le reciproche competenze per rispondere in modo sinergico ai bisogni dei ragazzi e delle loro famiglie. L’Istituto Superiore di Sanità, che ha messo in piedi un osservatorio nazionale sull’autismo, svolge già un ruolo concreto nel monitoraggio dei centri regionali dove sono stati attivati servizi mirati (la Toscana è una delle regioni all’avanguardia), nella formazione dei pediatri e del personale Asl, nella formalizzazione delle linee guide per i medici e nel miglioramento della comunicazione con i familiari. L’Istituto ha anche finanziato progetti per lo screening della popolazione ad alto rischio e per agevolare l’inserimento dei soggetti autistici nella società. In Versilia si sta formando un gruppo di studio e di lavoro dedicato in particolare ai pazienti Rett, che comprende insegnanti, operatori, volontari e ricercatori, mentre il Provveditorato agli studi sta preparando un vademecum sull’autismo da mettere a disposizione degli insegnanti. La dottoressa Domenica Taruscio, medico e Direttrice del Centro Nazionale delle Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, ha ricordato che l’Italia è inserita nelle reti di cooperazione internazionale, che coinvolgono 300 ospedali e 900 unità specialistiche in 26 paesi, ed è presente in 24 centri specializzati per patologia. L’Europa fa la parte del leone, con una serie di bandi aperti a tutti gli operatori del settore e con un progetto transnazionale sulle malattie rare.

Tutto ciò può essere determinante, a condizione che non siano mai trascurate la centralità della persona e la parte che ciascuno può fare per migliorare la vita dei pazienti e delle famiglie. A Viareggio ha portato la sua toccante testimonianza Corrado Sessa, giornalista e padre di un ragazzo con autismo. Parlando anche a nome della Onlus “l’Emozione Non Ha Voce”, Sessa ha descritto un’esperienza di ippoterapia con 15 pazienti autistici, che si è avvalsa della collaborazione del paroliere Mogol (memore dei suoi trascorsi a cavallo assieme a Lucio Battisti). Infine, per sottolineare l’importanza del lavoro fatto con i pazienti e gli operatori, ha citato l’iniziativa promossa da una cooperativa agricola di Roma, che ha messo in piedi una serie di attività collegate al ciclo della terra e all’alimentazione.

Carlo Gnetti

 

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