Razzismo e Covid-19: scudo genetico o razza protetta? di Alberto Baldasseroni, Miriam Levi, Antonio Baldassarre

La presunta individuazione di basi “scientifiche” di stigmate caratterizzanti certe popolazioni nei confronti della resistenza al virus rischia di essere il primo, decisivo e irreversibile passo verso la creazione di “capri espiatori”.

Siamo afflitti dall’ “Infodemia” come viene definita dal vocabolario della Treccani la “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili.” Un insidioso esempio di questa patologia informativa ci viene dalle ipotesi che si susseguono volte a spiegare le differenze nell’incidenza e nella mortalità di Covid-19 nelle diverse parti dell’Europa. In effetti le differenze sono molto marcate. Si va dai circa 27 mila ai 38 mila decessi dei paesi occidentali Spagna, Francia, Italia e Regno Unito ai circa 8.500 della Germania e via, via a calare nei paesi dell’Europa Centro-Orientale. Anche considerando l’incidenza cumulativa (ovvero il numero di casi totali in rapporto alla popolazione residente) la situazione non cambia: il gradiente in discesa da Ovest verso Est persiste.

Questo fenomeno, eclatante, deve aver rianimato i sopiti spiriti dei sostenitori della “razza” come motivo giustificante le differenze umane. Naturalmente nessuno parla più di “razze” nel senso novecentesco del termine, ma la sostanza e, talvolta, anche il lessico, sono analoghi.

Capofila di questa tendenza possiamo considerare il generale Roman Prymula, medico dell’esercito della Repubblica Ceca, esperto di vaccini, nominato responsabile della task-force di quel paese per il controllo della epidemia. Il 12 Aprile durante una delle consuete conferenze stampa televisive dichiarava che la bassa letalità per SARS-Covid-19 in quel paese in via d’ipotesi poteva essere spiegata con il fatto che, notoriamente, la popolazione ceca condivide un terzo di antenati con quella germanica, con la quale convive da secoli e quest’ultima mostrava una notevole resistenza al virus. Inoltre – aggiungeva Prymula – anche il basso numero di casi di infezione registrati potevano riconoscere un motivo nel fatto che era stata effettuata in larga misura la vaccinazione antitubercolare con BCG e questo poteva giustificare una immunità più “robusta” come era evidente in tutti i paesi dell’ex-blocco comunista dove tale pratica era stata diffusa fino a tempi recenti[1]. La dichiarazione del Generale non passava inosservata sulla stampa on-line ceca e il giorno successivo il collega Jan Trnka, giovane professore di medicina presso l’Università Carlo di Praga, con un lungo pedigree di studi e di lavoro a Cambridge (UK), replicava pacatamente, ma duramente, richiamando l’ABC della moderna genetica per negare validità alle idee del Generale[2]. Quanto all’ipotesi BCG, suggerita in molti lavori scientifici relativi ad altre patologie cronico-degenerative, una recente revisione sistematica di autori italiani non vi trova al momento conferma[3].

Un secondo esempio, più vicino a noi, è quello dell’articolo “What Are We Learning in a Country With High Mortality Rate?”[4] uscito il 28 maggio sull’autorevole rivista “Frontiers in Immunology”, ma in forma di “Opinion article”, cioè di contributo alla discussione, non come risultato di ricerche originali. Gli autori formulano interessanti ipotesi sull’assetto immunologico che caratterizzerebbe differenti possibili risposte all’infezione da parte degli individui. Ipotizzano anche che tale assetto potrebbe rendere ragione della relativa protezione delle popolazioni del meridione d’Italia nei confronti di Covid-19, sottolineando tuttavia che tale ipotesi dovrebbe trovare conferme in studi più ampi e approfonditi. Fin qui tutto bene, salvo una certa superficialità nel formulare ipotesi di natura genetica e di popolazione senza porsi alcun quesito epidemiologico che scoraggerebbe in partenza il ragionamento (come considerare ad esempio il fatto che le popolazioni residenti nel nord del nostro paese sono ormai completamente ibridate con quelle del meridione, grazie alle migrazioni interne degli anni ’50 e ’60 di milioni di cittadini, o il fatto che le misure di distanziamento fisico e le limitazioni degli spostamenti dei cittadini sono state messe in atto al Centro-Sud in una fase dell’epidemia più precoce rispetto alle regioni del Nord ). Il problema nasce però quando, lo stesso giorno, con tempistica istantanea, la “notizia” dello studio viene rilanciata sulla stampa quotidiana italiana. Il titolo de “Il Mattino”, giornale di larga diffusione nel sud d’Italia, recita: “Coronavirus, uno «scudo genetico» ha protetto il Sud Italia: «Ecco il motivo»”[5]. L’articolo riporta quanto riferito da uno degli autori all’agenzia di stampa Adnkronos secondo cui “«L’ipotesi è da validare prima di trarre conclusioni certe, ma è già fondata su solide basi scientifiche». Il framing dell’articolo è tutto spostato sul tema “razziale” cioè sulla presunta immunità delle popolazioni del sud grazie all’assetto immunitario geneticamente determinato che le avrebbe preservate dalle peggiori conseguenze vissute dalle popolazioni del nord-Italia. Nelle parole del giornalista si respira un’aria da revanche del Sud verso il Nord. Così un articolo scientifico di mera discussione tra addetti ai lavori, diventa d’un colpo la prova quasi provata dell’esistenza di uno “Scudo genetico”!

L’ultimo esempio in ordine di tempo riguarda di nuovo il modo in cui i giornali generalisti riportano notizie relative alle differenze di diffusione dell’epidemiaSi torna alle ipotesi sulla maggior “resistenza” dei tedeschi all’epidemia. A parlare è un eminente scienziato Britannico Karl Friston che sul The Guardian del 31 Maggio[6] rilascia un’importante intervista, molto lunga e articolata, dedicata in gran parte ad argomentare il lavoro della “Independent SAGE”, una commissione di esperti non-governativi che intende proporre al governo (che ha una sua propria commissione di esperti) dati e azioni volti a rispondere alla epidemia in quel martoriato paese. Friston è un neuroscienziato, grande esperto di modelli biostatistici previsionali per la spiegazione del funzionamento del nostro cervello. Nell’intervista descrive le ragioni per cui ritiene possibile applicare quella modellistica anche al caso dell’epidemia di coronavirus col fine di prevedere gli sviluppi del contagio. L’ultima domanda dell’intervistatore non può che essere relativa al perché ci siano dati così contrastanti tra Regno Unito e Germania nell’andamento dell’epidemia. Friston risponde in maniera superficiale, ipotizzando e dando credito alle ipotesi che giustificherebbero tale risultato con il fatto che “… Germany has more immunological “dark matter” – people who are impervious to infection, perhaps because they are geographically isolated or have some kind of natural resistance”. Chiaramente un’idea vaga e tutta da dimostrare. Ma nelle mani, anzi nella “penna” virtuale di un corrispondente del Corriere della Sera da Berlino questo passaggio, sostanzialmente irrilevante, dell’intervista al quotidiano inglese diventa l’oggetto del titolo e quindi del framing dell’articolo: “In Germania meno morti: «Perché i tedeschi hanno difese immunitarie più forti»”[7].

In tutti e tre questi esempi si nota l’enfasi sia da parte dell’esperto di sanità pubblica (Prymula), sia soprattutto da parte dei giornalisti italiani chiamati a divulgare i risultati di studi o rilanciare interviste autorevoli comparse su testate straniere, circa l’origine “razziale” delle differenze nella diffusione della malattia e nella relativa protezione immunologica delle popolazioni di questa o quella parte del continente o della stessa nazione. In termini giornalistici il titolo di un articolo acquista importanza decisiva nel delineare la “cornice” all’interno della quale si va a inserire il testo che segue. Non è quindi affatto indifferente l’uso di parole e l’enfasi che viene data alle parti del discorso dell’interlocutore sia esso la sintesi di un altro articolo oppure un’intervista allo stesso autore del lavoro scientifico.

La presunta individuazione di basi “scientifiche” di stigmate caratterizzanti certe popolazioni nei confronti della resistenza al virus rischia di essere il primo, decisivo e irreversibile passo verso la creazione di “capri espiatori”, colpevoli di aver contribuito alla diffusione dell’epidemia, secondo uno schema ben noto dalla storia di questo genere di vicende umane. Il dibattito scientifico, che deve basarsi sempre sull’evidenza dei fatti e sul confronto tra pari, non può subire processi di allegorizzazione nella trasposizione giornalistica, pena lo svilimento della validità degli uni, gli studiosi, e degli altri, i giornalisti.

AUTORI:

Alberto Baldasseroni, in precedenza Unità Funzionale Complessa di Epidemiologia, Dipartimento di Prevenzione, Azienda USL Toscana-Centro, 50135, Firenze, (baldasse1955@gmail.com)

Miriam Levi, Unità Funzionale Complessa di Epidemiologia, Dipartimento di Prevenzione, Azienda USL Toscana-Centro, 50135, Firenze, (miriam.levi@uslcentro.toscana.it)

Antonio Baldassarre, UOC Medicina del Lavoro, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi, Dottorando di Ricerca in Salute Globale, Occupazionale e Cooperazione Internazionale delle Popolazioni Mobili Università degli Studi di Firenze (antonio.baldassarre@unifi.it )

Bibliografia

  1. Roman Prymula o boji s koronavirem: Germáni méně umírají a Češi jsou ze třetiny Germáni. Extra.cz, 12.04.2020
  2. Jak je to vlastně s těmi lidskými rasami. a2larm.cz, 13.04.2020
  3. Riccò M, Gualerzi G, Ranzieri S,  Bragazzi NL. Stop playing with data: there is no sound evidence that Bacille Calmette-Guérin may avoid SARS-CoV-2 infection (for now). Acta Bio-medica: Atenei Parmensis 2020; 91(2):207-213.
  4. Mutti L, et al. Coronavirus Disease (Covid-19): What Are We Learning in a Country With High Mortality Rate? Frontiers in Immunology 2020 doi.org/10.3389/fimmu.2020.01208.
  5. Coronavirus, uno «scudo genetico» ha protetto il Sud Italia: «Ecco il motivo». Il Mattino, 28.05.2020
  6. Covid-19 expert Karl Friston: ‘Germany may have more immunological “dark matter”’. The Guardian, 31.05.202
  7. Coronavirus, «in Germania pochi morti? I tedeschi hanno più “materia oscura” immunologica». Il Corriere della Sera, 31.05.2020

fonte: 

Print Friendly, PDF & Email