La forma della Casa della Comunità. di Nicoletta Setola

Il mondo dell’architettura si trova di fronte a un’ importante sfida che è quella di progettare un nuovo tipo di edificio per la collettività.

Non solo i vari sistemi sanitari regionali si trovano ad affrontare una innovazione nella riforma della propria rete socio-sanitaria territoriale; ma anche il mondo dell’architettura si trova di fronte a una importante opportunità che è quella del progetto di un nuovo tipo di edificio per la collettività, che ha carattere ibrido. Ibrido perché ospita servizi sanitari, e in questo potrebbe assomigliare ad un polo distrettuale; ospita funzioni per la comunità e dove la comunità si sente attiva, e in questo rientra in parte negli edifici pubblici; ospita funzioni per la promozione della salute, e in questo ha in sé qualcosa degli edifici educativi. Ma allo stesso tempo la Casa della Comunità non può essere considerata la sommatoria dei tre aspetti sociosanitario-pubblico-educativo, ha una propria identità che forse va trovata nella integrazione tra i tre. Proprio questa integrazione, se opportunamente studiata, può portare ad una innovazione in termini di tipo edilizio e di tipologia, e, di conseguenza, esplicitare una nuova identità di edificio per la salute.

Si sente spesso dire: la Casa della Comunità non è un poliambulatorio distrettuale. Che cosa, dal punto di vista dell’architettura, non la rende tale? Di seguito alcuni aspetti che rendono diversa la Casa di Comunità da un poliambulatorio e che costituiscono le maggiori sfide, e opportunità, che ricercatori e progettisti in architettura si trovano ad affrontare in questo momento storico.

Un luogo per il lavoro multiprofessionale

Nella Casa della Comunità le attività di lavoro del personale sono caratterizzate dal lavoro in equipe multiprofessionali. Quali spazi possono supportare questo tipo di attività e favorirle? L’idea degli ambulatori in successione lungo corridoi stretti e non luminosi, accompagnati da una stanza riunioni localizzata nell’area dedicata alle attività dello staff sanitario, magari anche lontana, non si rivela nel nostro caso rispondente ad una necessità di continuo incontro e scambio di relazioni tra professionisti. Occorre elaborare nuove configurazioni di layout che superino gli attuali schemi per creare spazi condivisi per lavorare in equipe in cui siano favorite le interazioni. Al proposito si ritrovano in letteratura alcuni esempi che possono costituire fonti di ispirazione per nuovi layout (ad esempio l’Orbis Medical Hospital a Sittard in Olanda e la The Everett Clinic a Smokey Point in USA).
Tali configurazioni di layout ambulatoriali vanno inoltre inserite all’interno di uno studio specifico delle relazioni spaziali tra aree funzionali dell’intero presidio Casa della Comunità, in modo da favorire l’integrazione dei servizi tra aree dedicate alla medicina di base, specialistica ambulatoriale, assistenza sociale, e infermieristica; e conservare la possibilità di separazione e isolamento per altre aree come i servizi del consultorio, la salute mentale e la continuità assistenziale.

Un luogo prossimo al cittadino

La Casa della Comunità si propone l’obiettivo di assecondare una ‘sanità di prossimità’ per la popolazione [1]. Dal punto di vista fisico la prossimità diventa concreta in primis grazie ad una diffusione capillare sul territorio italiano. E proprio in questi luoghi fisici, gli edifici, di facile individuazione, a cui si può accedere liberamente, il cittadino entra in contatto fisicamente con l’assistenza sanitaria e socio-sanitaria esplicitando il proprio bisogno di salute e/o sociale. Assume importanza dunque ripensare l’accoglienza della Casa della Comunità in quanto primo contatto con il cittadino, sia come percorso di ascolto e diagnosi del bisogno, sia come spazi che supportano tale percorso. Il bancone informazioni/reception si rivela insufficiente per assolvere la presa in carico e valutazione a 360° del bisogno dell’utente; occorre creare spazi ulteriori in cui, dopo un primo indirizzamento informativo, possa avere luogo la valutazione del bisogno di salute e/o sociale effettuato da più professionisti. Tale spazio deve essere uno spazio che gode di adeguata privacy, accogliente in termini di comfort e piacevolezza in modo che l’utente si senta a proprio agio, e posto in prossimità del punto di accesso alla struttura.

Un luogo riconoscibile e accessibile

In più battute è stato dichiarato che uno dei requisiti più importanti della Casa della Comunità è la sua riconoscibilità. In tale riconoscibilità l’architettura svolge un ruolo importante e a più livelli. Il primo riguarda l’immagine esteriore che l’edifico assume all’interno del contesto urbano e che lo rende direttamente identificabile dal cittadino; essa può essere esplicitata in una forma precisa, in un sistema di involucro, così come in un sistema di loghi e indicazioni segnaletiche comuni a tutti i presidi, accompagnate da un buon progetto di comunicazione. A questo livello, necessario per una adeguata informazione per il cittadino, ne va aggiunto un secondo, più legato al carattere e spirito del luogo, che risiede da una parte nei singoli spazi e nelle relazioni tra essi e dall’altra nell’atmosfera che si crea all’interno dell’edificio: quali sono gli spazi principali che caratterizzano una Casa della Comunità, come sono aggregati tra loro, come appaiono agli occhi dell’utente e come vengono vissuti in funzione delle attività che ivi saranno svolte (ad esempio gli spazi del lavoro in equipe multidisciplinari e lo spazio accoglienza). La ripetizione non figurativa ma legata alla configurazione spaziale e alle invarianti di tali spazi, se opportunamente studiata, è il mezzo attraverso cui l’utente riconosce di essere all’interno di una Casa della Comunità.

Un luogo per la comunità

Un’altra categoria di spazi che hanno bisogno di essere ripensati sono gli spazi pubblici dedicati alla promozione della salute e alle attività della comunità di riferimento che attualmente non sono sufficientemente considerati nel programma di progetto come una delle aree funzionali della Casa della Comunità insieme all’area sanitaria, sociale, e logistica. Perché la comunità possa mettere in pratica le proprie attività e quelle ideate dai servizi sanitari occorre fornire spazi che hanno come requisito quello di essere di dimensioni adeguate, accessibili per la popolazione senza particolari permessi, ospitare funzioni prevalentemente pubbliche come ristorazione, biblioteche, sale polifunzionali, corti verdi interne. Tali spazi potrebbero trovarsi al piano terra dell’edificio o nelle aree immediatamente limitrofe alla Casa della Comunità, come ad esempio gli spazi aperti con giardini, spazi ad anfiteatro, orti urbani per attività di community gardening, spazi gioco per bambini.

L’edificio dovrebbe diventare un pezzo di città in cui il cittadino si sente a casa, un luogo in cui si sta bene e che fa parte della propria vita, dove ci sente sicuri, e a cui si sente un certo attaccamento perché va a costituire parte della propria identità.

Una casa

L’edificio dovrebbe diventare un pezzo di città in cui il cittadino si sente a casa, come lo stesso nome mette in evidenza. Il sentirsi a casa non è semplicemente una ricostruzione di un ambiente homelike grazie all’uso di arredi più caserecci, o ambienti di dimensioni più piccole: ci si sente a casa quando si riconosce un luogo come familiare, cioè un luogo in cui si sta bene e che fa parte della propria vita, dove ci sente sicuri, e a cui si sente un certo attaccamento perché va a costituire parte della propria identità.
La sfida dell’architettura in questa ottica è molto intrigante. Sicuramente ci sono alcune caratteristiche spaziali del layout che favoriscono l’incremento della familiarità: esse riguardano principalmente la creazione di layout non identificabili con altri tipi di strutture sanitarie, caratterizzate ad esempio dalla presenza di lunghi corridoi asettici su cui si affacciano le stanze visita o le degenze, ma layout che favoriscono la visibilità, creano spazi convessi e accoglienti, che si affacciano su corti verdi in accordo con i principi del biophilic design, dotati di colori e materiali che incrementano la funzione terapeutica e rigenerativa per il fisico e la mente, e in cui le relazioni spaziali sono studiate in accordo con i principi di umanizzazione in modo che la permanenza sia piacevole per le persone (Del Nord et.al, 2015) [2].

Un luogo capace di trasformarsi

In un’ottica di capillarità sul territorio le Case della Comunità dovrebbero avere anche funzione sentinella per un monitoraggio e controllo degli eventi di tipo emergenziale. Una delle sfide per l’architettura è quella di progettare dei layout il più possibile flessibili, capaci di adattarsi ad eventi emergenziali – infettivi, ma non solo. Durante la pandemia Covid-19 infatti molte Case della Comunità hanno dovuto cessare le proprie attività o, nei casi migliori, trasformarle modificando pesantemente il sistema di accesso: è stato creato un punto unico di accesso con misurazione temperatura e conseguente separazione dei flussi in entrata e in uscita; all’esterno dei presidi si sono create così file di persone in attesa di entrare e sono state predisposte pensiline temporanee per proteggere dal sole e dalle intemperie; alcune aree sono state chiuse al pubblico, e gli spazi di attesa drasticamente ridotti. Tali disagi potrebbero essere evitati se previsti in fase di progetto, dando al layout spaziale quella flessibilità necessaria ad adattarsi a diverse situazioni. Si aggiunge poi il fatto che la pandemia ha costretto a prevedere – non solo in ospedale, ma anche nelle strutture territoriali – percorsi differenziati tra pazienti infetti (o sospetti tali) e pazienti non infetti (WHO, 2021) [3].

Lavorare sull’esistente

La sfida un po’ per tutte le regioni è quella di confrontarsi con gli immobili di proprietà delle Aziende Sanitarie o dei Comuni, siano essi da adibire a cambio di destinazione in favore di nuove Case della Comunità, o sia che essi ospitino già delle Case della Salute da implementare e riqualificare. Il come intervenire sulle strutture esistenti in modo da preservare l’identità storica e allo stesso tempo creare, attraverso attività di riqualificazione e ristrutturazione, nuove configurazioni spaziali che consentano di identificare una Casa della Comunità e non un poliambulatorio, è veramente una sfida interessante per il mondo della architettura. La sfida si fa ancora più stimolante se consideriamo che la Casa della Comunità, in quanto modello socio-sanitario, è per natura terreno di confronto tra Comune e Aziende Sanitarie, sia per quanto riguarda la gestione degli spazi sia per quanto riguarda la manutenzione.

Lavorare su un modello

Considerando il quadro nazionale attuale, in cui non sono presenti linee guida di indirizzo architettonico per le Case della Comunità essendo un modello di sanità territoriale “nuovo”, si rende necessario lo studio delle esperienze esistenti per proporre un modello spaziale-organizzativo flessibile di Casa della Comunità adattabile ai diversissimi contesti culturali e territori che spesso insistono all’interno delle singole regioni. La proposta di tale modello non può prescindere da un lavoro interdisciplinare tra scienze mediche e sociali e architettura che prenda in considerazione i requisiti di processo per arrivare successivamente a quelli strutturali (funzionali e spaziali) e a definire le relazioni tra le diverse aree funzionali in base alle attività, in modo che l’architettura costruita possa davvero assecondare le esigenze organizzative e supportare comportamenti virtuosi ed efficaci.

Figura 1.  Progetti per i nuovi spazi della Casa della Comunità: cluster ambulatoriali per il lavoro in equipe multiprofessionali (© Diviziani, Giannelli, La Spina) e attesa/spazio polifunzionale (© F.Arca, N.Pizzamano, L.Vitti)

Nota: una trattazione più esaustiva dei temi qui trattati e del ruolo della Casa della Comunità nell’ambiente urbano si può trovare nei libri riportati nelle fonti bibliografiche [4] [5]

Nicoletta Setola – Professore Associato, Dipartimento di Architettura (DiDA), Università degli Studi di Firenze

Bibliografia

1. Ministero della Salute, Decreto 23 maggio 2022 , n. 77, Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale.
2. Del Nord R., Marino D., Peretti G., (2015). L’umanizzazione degli spazi di cura: una ricerca svolta per il Ministero della Salute Italiano. Techne Journal, 9, 224-229.
3. WHO, (2021) Role of Primary Care in the COVID-19 Response Interim guidance, Revised and republished as of 9 April 2021 (Originally published on 26 March 2020).
4. Nicoletta Setola (2021). Da un’architettura urbana in salute alle Case della Comunità. In: Francesco Caroli. Il buon vivere. Idee per una Milano in Salute, pp. 122-142, Bari – Milano: Giacovelli Editore
5. G. Maciocco, A. Brambilla (2022). Dalle Case della Salute alle Case della Comunità. Carocci Editore

fonte: saluteinternazionale.info

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