Alluvione e clima. Sull’adattamento in Italia vale ancora “Don’t look up”. di Stefano Nespor

Solo pochi rappresentanti del governo e delle istituzioni hanno fatto riferimento al cambiamento climatico tra le cause delle recenti alluvioni, che pure non sono un caso isolato. In Italia persiste un atteggiamento che ricorda il film Don’t look up: mancano una politica climatica e un piano di adattamento, anche se i cittadini sembrano essere attenti al clima; e il nostro paese ha contribuito a molte opere per l’adattamento, ma solo all’estero.

Il disastro che ha colpito l’Emilia Romagna con diecine di morti, migliaia di sfollati e miliardi di danni è stato provocato da piogge intense e persistenti che hanno riversato in pochi giorni una eccezionale quantità d’acqua: un’alluvione senza precedenti, anche se nella regione già nel 2022 c’erano stati 18 eventi estremi e negli ultimi dieci anni si erano verificati 38 allagamenti da piogge intense e 12 esondazioni fluviali.

L’Emilia Romagna non è un caso isolato. In tutta Italia aumentano eventi simili e i comuni colpiti: dal 2010 al 1° novembre 2021 sono stati registrati 1.118 eventi meteorologici estremi (+17,2%) verificatisi in 602 comuni (+95%).

Molte sono le cause dell’attuale disastro e degli altri che l’hanno preceduto: la cementificazione e il consumo di suolo (secondo l’Ispra, l’Emilia-Romagna è la terza regione per incremento di suolo consumato tra il 2020 e il 2021; ma non dimentichiamo che nel 2021 in Italia c’è stato il più alto consumo di suolo degli ultimi dieci anni), l’insufficiente manutenzione dei corsi d’acqua, la scarsa attenzione alla gestione del territorio. Numerose le accuse di finanziamenti già stanziati e non utilizzati e di fondi assegnati dall’Unione europea e non adoperati per opere che sarebbero state necessarie.

Pochissimi rappresentanti del governo e delle istituzioni hanno però fatto riferimento al cambiamento climatico, una causa che, secondo i numerosi studi scientifici condotti per diecine di casi simili nel mondo, sulla base di una disciplina sviluppata negli ultimi anni, incrementa il numero e amplifica la forza e le conseguenze degli eventi estremi e delle alluvioni in particolare: (per la storia e una rassegna degli studi in questo campo: www.worldweatherattribution.org/wwa-history/).

La conseguenza del persistenze disinteresse delle forze politiche che si sono succedute al governo in questi anni è che siamo l’unico grande Paese europeo senza una politica climatica e senza un piano di adattamento al clima. Infatti, se si visita il sito del Ministero dell’ambiente e della Sicurezza energetica (questa è l’attuale denominazione) alla voce Clima, sottovoce Adattamento ai cambiamenti climatici, troviamo una “prima versione” della Piattaforma nazionale sull’adattamento ai cambiamenti climatici «che sarà arricchita e aggiornata periodicamente» ed «è attualmente sottoposta a procedimento di VAS»; troviamo anche un Piano nazionale di adattamento, avviato «al fine di dare attuazione alla Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”, ma “le informazioni e i dati del Piano nazionale di adattamento saranno resi disponibili a seguito della sua approvazione».

In sostanza, poco o nulla è stato fatto per realizzare le opere di adattamento, il secondo pilastro per il contenimento del cambiamento climatico, tanto più necessarie a fronte dell’ormai inevitabile fallimento degli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi per il primo pilastro, la mitigazione. L’inerzia sembra essere l’effetto del prevalere, nei governi che si sono succeduti nel tempo, di giudizi scettici, e talvolta negazionisti, con riferimento al cambiamento climatico e ai suoi effetti, guardando con indifferenza o con ostilità chi ne sostiene l’importanza.

Al silenzio degli esponenti politici si contrappone tuttavia l’opinione diffusa nel nostro Paese: già nel 2019 un’indagine della Banca europea degli investimenti su un ampio campione di cittadini dell’Unione europea aveva rivelato che «gli italiani sono uno dei popoli dell’Unione europea più attenti al clima. In totale, l’83% degli italiani si sente preoccupato o allarmato quando pensa ai cambiamenti climatici, mentre il 67% ritiene che questo fenomeno costituisca già una minaccia per l’umanità».

Lo scenario ricorda il film del 2021 Don’t look up, che tratta di una cometa che sta per colpire la Terra e dell’incapacità dei governi di assumere iniziative per distruggerla e salvare il Pianeta. Anche qui il mondo è diviso tra chi chiede con urgenza la distruzione della cometa, chi considera l’allarmismo eccessivo e chi addirittura nega, con lo slogan “Don’t look up”, che la cometa esista davvero, proprio quando la cometa è ormai visibile in cielo.

Il film è una sorta di apologo che ha per oggetto il cambiamento climatico. Anche qui, c’è chi si batte per avviare ogni azione necessaria per affrontare l’emergenza, realizzando le opere necessarie per evitare o contenere i danni, chi pensa che non si tratti di una vera e propria emergenza e chi nega che il cambiamento esista davvero. Ma sbaglierebbe chi attribuisse ai nostri governi qualifiche di negazionismo o di indifferenza verso i pericoli posti dal cambiamento climatico. Al contrario, l’Italia è presente con un forte impegno per la realizzazione delle opere necessarie per l’adattamento al cambiamento climatico. Non in Italia, come abbiamo visto, ma altrove nel mondo: ha versato dal 2015 a oggi 16,5 milioni di dollari per finanziare l’Adaptation Fund che si occupa di opere di adattamento per far fronte a eventi estremi, tra cui la gestione delle acque e la tutela del patrimonio forestale; ha poi contribuito con 250 milioni di dollari al versamento di 4,7 miliardi di dollari nel Green Climate Fund, istituito nel 2014 (si veda l’accordo di finanziamento del 2020: www.greenclimate.fund/document/contribution-agreement-italy-gcf-1); infine ha partecipato con gli altri paesi dell’Unione europea a versare 375 milioni di dollari nello Special Climate Change Fund (SCCF) gestito dalla Banca Mondiale che si occupa del trasferimento di tecnologie ai Paesi meno sviluppati.

Non è facile comprendere la ragione di questa autolesionista bipolarità dei nostri governi che si occupano delle conseguenze del cambiamento climatico solo se si verificano al di fuori del territorio nazionale e finanziano all’estero ciò che non realizzano in Italia. Può dipendere dal fatto che i finanziamenti esteri sono semplici trasferimenti di somme, atti considerati dovuti per rispettare vincoli imposti dagli accordi internazionali (tra cui l’Accordo di Parigi), mentre gli investimenti da effettuare in Italia richiedono valutazioni e indagini tecniche, confronti fra il personale amministrativo e politico dei vari livelli territoriali e procedure che richiedono attenzione, impegno e capacità. Non è sufficiente inviare i fondi, lasciando ad altri il compito di effettuare gli interventi, è necessario compiere scelte e assumere decisioni che nessuno nel nostro paese sembra in grado di fare.

fonte: Scienza in Rete

Crediti immagine: da Kelly Sikkema/Unsplash


Stefano Nespor – È avvocato a Milano, socio fondatore di Greenlex e direttore della Rivista Giuridica dell’Ambiente (RGA). È membro di ELNI Environmental Lawyers Network International e fa parte del Consiglio nazionale di Legambiente. È anche membro del Comitato scientifico della rivista cinese Environmental Science and Technology.

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