Pesanti ferite alla sanità pubblica nella Legge di bilancio. di Nerina Dirindin, Enza Caruso

Il Governo si limita a porre qualche toppa ad alcuni problemi, ignorando le difficoltà più profonde del Servizio sanitario nazionale, come quella del personale. L’unica attenzione è ad alcuni portatori di interesse: industria farmaceutica, farmacie e privato accreditato.

l disegno di legge di bilancio per il 2024, ora all’esame del Parlamento, definisce come il Governo intende affrontare le gravi difficoltà che incontrano le persone che hanno bisogno di assistenza. Purtroppo, la manovra è molto deludente. Gli interventi proposti, sotto la rubrica dal titolo burocratico “per il potenziamento dell’assistenza sanitaria” (Capo I del Titolo VI, Sanità), mancano di una visione complessiva, di una strategia di rafforzamento graduale del Ssn o anche solo di miglioramento di parte dell’assistenza offerta alla popolazione. Le poche misure proposte testimoniano il disimpegno rispetto alle difficoltà che stiamo attraversando, come se il loro rinvio potesse di per sé portare alla soluzione dei problemi.

Il Governo si limita infatti a porre qualche toppa ad alcuni problemi (quelli più vistosi) e a intervenire con sollecitudine su altri (quelli con un maggior ritorno politico), ignorando le difficoltà più profonde del SsnL’unica attenzione è ad alcuni portatori di interesse (industria farmaceutica, farmacie e privato accreditato), senza cogliere l’occasione per rinnovare e dare prospettive al sistema. Tanto – questa è l’immagine che ne emerge – le persone stanno gradualmente imparando ad arrangiarsi di fronte alle carenze della sanità pubblica, mentre le logiche del mercato stanno lentamente portando a una sostituzione di parte del servizio pubblico con i produttori privati e le coperture assicurative. Derive che dovremmo contrastare e non assecondare: qualche toppa qua e là non può che peggiorare il clima di sfiducia che attraversa cittadini e professionisti.

Ma cosa contiene la legge di bilancio? La ricostruzione delle norme è contenuta nella tabella 1.

In primo luogo, il Ssn può contare su più risorse (rispettivamente 3, 4 e 4,2 miliardi per gli anni 2024, 2025 e 2026). Complessivamente, il Fondo sanitario 2024 raggiunge 134 mld, una cifra che – è vero – è la più alta mai raggiunta in passato, ma insufficiente per l’ordinario funzionamento del Ssn. Infatti, il rinnovo dei contratti di lavoro (finalmente chiusi) e delle convenzioni con i Mmg costerebbe almeno 2,4 miliardi (l’incremento del 5,78% per le retribuzioni nella pubblica amministrazione è insufficiente a coprire l’inflazione registrata nel triennio) e gli altri interventi disposti dalla nuova legge di bilancio valgono oltre 750 milioni (liste di attesa, aumento tetto ai privati, prestazioni aggiuntive richieste al personale del SSN, ecc.).

Il risultato è che le aziende sanitarie potranno contare nel 2024 su un finanziamento al netto dell’inflazione e delle poste di cui sopra inferiore (di oltre 1 miliardo) a quello disponibile per il 2023.

In secondo luogo, emerge un Ssn che ha a cuore più i farmaci che il proprio personale. Non manca infatti la reiterata revisione dei tetti di spesa per l’assistenza farmaceutica: l’aumento del tetto per gli acquisti diretti, con contestuale riduzione del tetto della convenzionata, libera spazi attualmente sottoposti a payback per l’industria farmaceutica comportando maggiori costi per le aziende sanitarie che si caricano la metà dello sfondamento (art. 43), stimabili in un centinaio di milioni. Nel 2024 entra in vigore anche il nuovo sistema di remunerazione delle farmacie, che riduce la percentuale sul prezzo dei farmaci e affianca ad essa una quota fissa per confezione comunque crescente con il prezzo, e ulteriori quote incentivanti i farmaci equivalenti. Il nuovo metodo, che peraltro sopprime gli sconti a carico delle farmacie (circa 540 mln nel 2022), potrebbe generare maggiori oneri, tanto è vero che si prevede un tavolo tecnico per verificare periodicamente la sostenibilità economica dell’intervento (art. 44). In entrambi i casi, tuttavia, la relazione tecnica stima che non ci siamo maggiori oneri.

Sul personale del Ssn – la vera grande debolezza strutturale – la legge non interviene, se non in maniera risibile (art. 42): non allenta i tetti massimi di spesa, ma si limita a chiedere più prestazioni aggiuntive in intramoenia a chi è già in servizio per contribuire a ridurre le liste di attesa (entro il tetto di 280 milioni), pur sapendo che spesso si tratta di personale stremato dalla carenza di organico e da pesanti condizioni di lavoro, soprattutto in alcuni settori. Purtroppo, non basta prevedere un aumento della tariffa oraria di medici e infermieri per risolvere il problema delle liste d’attesa: gli operatori chiedono di poter lavorare meglio, di poter smaltire le ferie arretrate, non di fare più straordinario. La legge non lascia intravvedere alcuna strategia neanche per dare prospettive a chi, se dipendente, potrebbe prendere in considerazione l’idea di lasciare il Ssn o, se neo specializzato, potrebbe non partecipare a un concorso del Ssn.

La Legge di bilancio, in deroga ai tetti di spesa del personale vigenti e in aggiunta alle risorse già disposte con la Legge di bilancio per il 2022, interviene per rafforzare le assunzioni di personale per l’assistenza territoriale e l’attuazione degli standard del DM 77/22 con 250 mln nel 2025 e 350 mln a decorrere dal 2026) (art. 50, c.1). Le misure vanno valutate congiuntamente ai finanziamenti disposti con il d.l. 34/20 e con i fondi del PNRR a sostegno dell’ADI. L’incremento delle assunzioni in deroga per il potenziamento del territorio è però inferiore all’incremento dei tetti massimi di spesa per l’acquisto di prestazioni da privati accreditati (art. 45 e 46) che rispetto alla spesa consuntivata del 2011 aumentano di 1 punto percentuale nel 2024, di 3 pp nel 2025 arrivando fino a 4 pp nel 2026.

E se le liste di attesa sono lunghe, le persone possono rivolgersi al privato, pagato con fondi sottratti al servizio pubblico anche in deroga ai nuovi tetti allentati. Un chiaro segno di come si intende favorire il privato accreditato piuttosto che chiedere alle regioni di ri-strutturare il servizio pubblico.

La manovra per il 2024, peraltro, lascia scoperto il recupero delle liste di attesa che al massimo varrebbe 520 milioni (lo 0,4% del FSN), ma che a conti fatti al netto di quelle recuperabili nel pubblico (max 280 milioni) dispone di risorse libere per soli 83 milioni. In sostanza, circa 240 milioni sono ammessi come ulteriori acquisti di prestazioni dai privati accreditati per l’abbattimento delle liste di attesa anche in deroga ai nuovi tetti di spesa (art. 45), ma le disposizioni si potrebbero tradurre in una maggiore spesa a carico delle regioni per circa 157 milioni, non quantificata nel finanziamento. Nel 2024 entrano in vigore i nuovi LEA approvati nel 2017 dopo l’approvazione dei nomenclatori per l’assistenza specialistica ambulatoriale e per quella protesica: le nuove tariffe valgono 400 milioni, mentre nell’ambito del rifinanziamento del FSN sono vincolati 50 milioni nel 2024 e 200 dal 2025 per l’aggiornamento dei LEA.

Infine (art. 50, c. 2 e 3), sempre nell’ambito dell’incremento del FSN il Governo aumenta le risorse riservate alle cure palliative (10 milioni rispetto ai 100 milioni già vincolati) e in modo consistente (240 milioni nel 2025 e 310 dal 2026, a fronte di 680 nel 2022) la quota di risorse a disposizione del Ministero della salute per il perseguimento di obiettivi di carattere nazionale, a dispetto della storica forte richiesta di ripartire tutte le risorse direttamente alle regioni. Un intervento che dimostra quanto sia facile essere a favore di una maggiore autonomia delle regioni fino a quando non si è al governo: una contraddizione rispetto alla proposta di autonomia differenziata, per la quale non abbiamo alcuna simpatia, ma che è ampiamente contraddetta da una legge che aumenta i fondi per fare ciò che decide il livello centrale a prescindere dalle diverse esigenze delle singole regioni.

Su un altro fronte, nulla è previsto per la non autosufficienza, rispetto alla quale la legge delega 33/2023 prevede di trasformare in profondità il sistema dei servizi sociali ed integrarli con quelli sanitari, ma i decreti attuativi – in scadenza a gennaio 2024 – non sono finanziati; il nuovo ambizioso approccio alla terza età si potrebbe dimostrare una mera enunciazione di princìpi senza prevedere soluzioni in grado di cambiare la vita delle persone anziane non autosufficienti e delle loro famiglie.

Il risultato finale della manovra non potrà che essere l’aumento dei disavanzi per le aziende sanitarie. Anche le scelte allocative indicate esplicitamente verso l’espansione delle prestazioni acquistate dai privati appaiono discutibili: i servizi sanitari regionali, senza riuscire a realizzare gli obiettivi di potenziamento del territorio indicati nel PNRR, rischiano di essere trasformati in soggetti terzo pagante proprio come nei modelli assicurativi.

Nerina Dirindin e Enza Caruso, Associazione Salute Diritto Fondamentale

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