Diritto alla disconnessione: perché è una questione di salute pubblica. di Luca Bernardelli

Il diritto alla disconnessione emerge sempre più come un elemento chiave per un equilibrato rapporto tra vita lavorativa e personale in tempi di iperconnessione. Molti gli esempi significativi di politiche attive in questo ambito, con Francia, Spagna e Portogallo che si pongono come pionieri. Anche in Italia si moltiplicano le iniziative per affrontare questo tema.

L’iperconnessione è una condizione sempre più diffusa, spesso accompagnata da un debito di fatica e stress che può sfociare in disturbi rilevanti per la salute pubblica. In questo contesto, il diritto alla disconnessione emerge come un elemento chiave per garantire un equilibrato rapporto tra vita lavorativa e personale.

Sebbene la normativa italiana sia ancora in fase di evoluzione, esistono già esempi significativi a livello internazionale con Francia, Spagna e Portogallo che si pongono come modelli pionieri. Oltre oceano, negli Stati Uniti, le misure adottate mostrano una diversa sensibilità al problema mentre la Cina sta cercando di contenere il fenomeno attraverso politiche incisive. Anche in Italia diverse iniziative, oltre alle misure normative, stanno nascendo per affrontare questo tema delicato; tra queste spiccano quelle promosse da Telefono Azzurro e dal Garante della Privacy.

Il diritto alla disconnessione: evoluzione normativa in Italia

In Italia, il tema del “diritto alla disconnessione” è tornato alla ribalta contestualmente alla pandemia, seppur esclusivamente in ambito aziendale.

La Legge 81 del 2017, infatti, aveva iniziato a introdurre il problema del rispetto dei tempi di separazione dagli strumenti digitali, demandandolo però a una negoziazione tra datore di lavoro e dipendenti in merito alla riduzione dell’iperconnessione lavorativa e dell’ormai radicata e diffusa “sindrome always on”.

Nel 2021, il decreto n. 30 ha normato la possibilità di scollegarsi dalle piattaforme informatiche dell’azienda senza rischiare conseguenze negative e, successivamente, è stato approvato il “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile”, che prevedeva che lo smart-working fosse pianificato in fasce orarie che assicurassero adeguati intervalli di disconnessione.

L’esempio europeo: Francia, Spagna e Portogallo

In Europa, la Francia è stata la prima, con la “Loi du Travail” del 2016, a normare il diritto alla disconnessione nelle aziende con più di 50 dipendenti, senza, però, prevedere sanzioni per chi non la rispetta.

Anche la Spagna, nella legge 3/2018 ha riconosciuto ai lavoratori il diritto alla disconnessione digitale, così come il Portogallo che è giunto a questo provvedimento nel 2021.

Sempre nel 2021, il governo irlandese ha emanato un codice di condotta per coadiuvare le linee guida aziendali relative alla disconnessione dei dipendenti e, nel 2022, è arrivato anche il Belgio, con una normativa che coinvolge solo i dipendenti della Pubblica Amministrazione.

Peraltro, il Parlamento Europeo, già nella Risoluzione del 21 gennaio 2021, invitava gli Stati membri a riconoscere il diritto alla disconnessione come fondamentale, perché inseparabile dai nuovi modelli di lavoro, ma sono ancora diversi i Paesi Europei in cui manca questa normativa (Germania inclusa), seppur cresca la consapevolezza riguardo alla necessità di proteggere i lavoratori anche in questa direzione.

Ma la tutela del diritto alla disconnessione non è urgente solo nelle aziende. Sempre più studi dimostrano che le interazioni digitali sono correlate a effetti nefasti sulla salute mentale e sui meccanismi che regolano il cervello di bambini, adolescenti e adulti.

Le misure di contenimenmto digitale della Cina

La Cina, che ha una base utenti Internet di più di un miliardo di persone – di cui circa il 20% minorenni –, nell’agosto 2023 ha proposto nuove misure per ridurre la quantità di tempo che i bambini e gli adolescenti trascorrono sui loro telefonini, a causa della diffusa dipendenza da Internet e della dilagante miopia, ormai diventata un problema sanitario nazionale, secondo molti esperti dovuta al tempo eccessivo trascorso davanti agli schermi e alla mancanza di esposizione alla luce solare.

Queste restrizioni segnerebbero un rafforzamento delle misure esistenti introdotte negli ultimi anni, dato che il governo cinese mira da anni a limitare il tempo che i minorenni trascorrono davanti ai dispositivi, riducendo il contatto con le numerose informazioni indesiderabili.

La “Cyberspace Administration of China” (CAC), il principale regolatore Internet del Paese, ha richiesto a tutti i produttori di dispositivi mobili, app e app store di avere una “modalità minore” incorporata, che limiterebbe il tempo di visualizzazione giornaliero a seconda della fascia di età, imponendo a tutti i siti online di verificare la reale identità degli utenti. Con questo sistema, i bambini e gli adolescenti vedrebbero scadere automaticamente le sessioni sul proprio dispositivo allo scadere dei limiti di tempo previsti.

Questa modalità porterebbe i bambini al di sotto degli 8 anni a usare il cellulare al massimo per 40 minuti al giorno, i giovani tra gli 8 e i 16 anni per 1 ora, mentre agli adolescenti tra i 16 e i 18 anni saranno concesse due ore. Nessuno sotto i 18 anni potrà accedere ai propri dispositivi digitali tra le 22 e le 6 del mattino e tutti riceverebbero un promemoria per riposarsi dopo aver utilizzato il dispositivo per più di 30 minuti consecutivamente.

Peraltro, già nel 2021, le autorità di regolamentazione cinesi hanno vietato ai giocatori online minorenni di giocare nei giorni feriali e hanno limitato il loro gioco a sole tre ore nei fine settimana, inasprendo i limiti precedenti.

Il problema sanitario riconosciuto dagli Stati Uniti

Oltreoceano, negli Stati Uniti è aperto da tempo il dibattito sulla revisione della disposizione chiave della Sezione 230 del “Communication Decency Act” del 1996, lo scudo legale per gli intermediari telematici, che il principale storico dello statuto Jeff Kosseff ha chiamato “le ventisei parole che hanno creato Internet”, che sono: “No provider or user of an interactive computer service shall be treated as the publisher or speaker of any information provided by another information content provider” (“nessun fornitore di servizi Internet e nessun utilizzatore di tali servizi può esser ritenuto responsabile quale editore o quale autore di una qualsiasi informazione che sia stata fornita da terzi”). Quindi una piattaforma social media viene equiparata metaforicamente a una libreria che vende testi di cui non è responsabile del contenuto, e non a un giornale, in cui l’editore è responsabile di tutto ciò che scrivono i suoi giornalisti.

Nel contempo, a febbraio 2022 è stato presentato il disegno di legge chiamato “Kids Online Safety Act” (KOSA), che stabilisce linee guida volte a proteggere i minori di 16 anni sulle piattaforme di social media, incaricando i procuratori generali statali a farlo rispettare e portando le aziende tecnologiche a intraprendere azioni per salvaguardare la salute dei più giovani.

Nel dicembre 2022 il “Center for Countering Digital Hate” ha pubblicato un report che racconta come i giovani incontrino un contenuto dannoso su TikTok (video di disturbi alimentari o di autolesionismo) ogni 206 secondi.

Oltre alla buona volontà di alcuni legislatori, sono innumerevoli le segnalazioni a sfondo tecnopatologico di organizzazioni di riferimento nell’area della salute mentale, tra cui la solerte “American Psychological Association”.

Per alzare ulteriormente l’attenzione, lo scorso maggio, la massima autorità sanitaria statunitense, il dottor Vivek Murthy, responsabile del “Public Health Service Commissioned Corps” e voce del governo in materia di sanità pubblica, ha affermato che le piattaforme di social media possono avere effetti estremamente dannosi sulla salute mentale di bambini e ragazzi, esortando i colossi della tecnologia ad agire al più presto per mitigare questi pericoli. Il dott. Marthy ha riferito che i più giovani sono esposti a materiali dannosi sui social media, che vanno dai contenuti violenti e sessuali, al bullismo e alle molestie e, per molti di loro, l’uso dei social media sta compromettendo il sonno e il tempo prezioso trascorso di persona con la famiglia e gli amici. Infine, il “Chirurgo Generale” degli USA ha affermato che la Nazione sta vivendo una crisi di salute mentale giovanile, enfatizzando la preoccupazione che i social media siano un importante motore di quella crisi, che, di conseguenza, va affrontata con urgenza.

Le iniziative italiane, dal Telefono Azzurro al Garante privacy

Il 7 febbraio 2023, durante il Safer Internet Day, il Telefono Azzurro, una delle voci più autorevoli nella difesa dei diritti – e informate sulle necessità – dell’infanzia, ha proposto al Governo un pacchetto di sette misure, tra cui l’innalzamento a 16 anni dell’età di utilizzo di Internet.

Nel marzo 2023, il Garante della Privacy, tra le istituzioni italiane più attive nella vigilanza digitale, ha impedito temporaneamente a ChatGPT di collezionare informazioni degli utenti italiani e, da febbraio 2023, ha chiuso l’accesso al chatbot di intelligenza artificiale Replika, reo di aver raccolto dati di utenti sotto i 12 anni (peraltro accusato negli USA di “sexual harrassment).

Prima di loro, nel novembre 2022, Annamaria Staiano, presidente della Società Italiana di Pediatria, presentando i risultati di una preoccupante indagine sul rapporto con il digitale effettuata su 800 famiglie con figli di età compresa tra 0 e 15 anni – e commissionata da Associazione Culturale Pediatri (ACP), Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) e Società Italiana di Pediatria (SIP) in collaborazione con Fondazione Carolina e Meta, società proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp –, ha messo in luce i rischi documentati per la salute psicofisica di un uso precoce, prolungato e non mediato dagli adulti, dei dispositivi digitali nei bambini da 0 a 8 anni: interferenze negative sul sonno, sulla vista, sull’apparato muscolo-scheletrico, sull’apprendimento, sullo sviluppo cognitivo sono solo alcune delle correlazioni riconosciute. E i rischi aumentano con l’aumentare del tempo trascorso online: dall’ansia e alla depressione; dal sovrappeso ai disturbi del comportamento alimentare; dal cyberbullismo al grooming online; dai problemi comportamentali a quelli della vista; dalla cefalea alle carie dentali.

Questa indagine evidenzia, inoltre, che la consapevolezza da parte delle famiglie sull’uso dei device risulta largamente insufficiente: tra 0 e 2 anni il 26% dei genitori consente ai propri bimbi di utilizzare smartphone e tablet in autonomia, percentuale che sale al 62% tra i 3 e i 5 anni, all’82% nella fascia 6-10 anni e al 95% tra gli 11 e i 15 anni.

Infine, lo scorso settembre, una ricerca commissionata dalla Presidenza del Consiglio ha fatto emergere che la salute mentale di un giovane su due è a rischio. Questa analisi su circa centomila studenti tra gli 11 e i 17 anni ha fatto emergere caratteristiche compatibili con una dipendenza dai social media, che può condurre nel tempo a sviluppare bassa autostima, ansia sociale, depressione e un’acuizione dei disturbi alimentari. Infatti, ragazze e ragazzi si imbattono sempre più spesso in messaggi social pericolosi e dannosi, modelli di bellezza finti, irrealistici e irraggiungibili, attacchi cyberbullistici perpetrati in varie forme, che possono drasticamente alterare il loro benessere psicofisico.

L’esplosione dei disturbi correlati all’iperconnessione

Ogni anno, la lista delle ricerche tematiche aumenta esponenzialmente e riguarda alterazioni, anche in età precoce, del cervello e dei comportamenti umani.

A partire dal famigerato “tecnostress”, termine coniato da Craig Brod nel lontano 1984 per intendere lo stress indotto nell’utilizzatore di nuove tecnologie informatiche, riconosceva – già nell’era pre-social – sintomi quali ansia, insonnia e mal di testa, estesi nell’era digitale dai ricercatori a ulteriori conseguenze, quali disagio, affaticamento mentale, difficoltà di concentrazione, disturbi della memoria, frustrazione, bassa produttività, sensazione di inefficacia, tensione, iperattività, irritabilità, insonnia, stanchezza, disturbi dell’umore e psicosomatici.

Il tecnostress è un ampio costrutto antesignano di una parte dei disagi che sarebbero emersi successivamente, ma negli ultimi anni la mappatura dei problemi correlati al digitale è in costante aumento. Di seguito ne viene riportato un parziale elenco, in cui – per ora – si trova una sola patologia formalmente riconosciuta in un manuale dei disturbi mentali:

  • Information Overload: è il sovraccarico di informazioni su un argomento, che rischia di non aiutare le persone a prendere decisioni efficaci, fenomeno condizionato anche dalla smisurata propagazione delle Fake News.
  • Fear of Missing-Out: è l’apprensione causata dal perdere informazioni, eventi o esperienze che potrebbero migliorare la propria vita.
  • Zoom Fatigue: è l’affaticamento psicofisico da videoconferenza, foriero di distress e di emozioni negative.
  • Zoom Dysmorphia: si riferisce al fatto che lo specchio quotidiano a cui si è sottoposti nelle videochiamate può sfociare in un dismorfismo corporeo che può portare addirittura a interventi di chirurgia estetica.
  • Gaming Disorder: la dipendenza dal gaming online è oggi l’unico disturbo di origine digitale riconosciuto dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (il DSM 5 del 2013).
  • Internet Addiction Disorder: è una definizione omnicomprensiva che descrive il disturbo del controllo degli impulsi per un eccesso di tempo passato su Internet, che include: dipendenza cybersessuale, dipendenza dalle relazioni online, gioco d’azzardo ossessivo online, shopping o trading giornaliero, sovraccarico di informazioni e dipendenza dai videogiochi online.
  • Smartphone AddictionNomofobia o Ansia da Disconnessione: una forma problematica di attaccamento psicologico al proprio dispositivo, che porta ad assuefazione e sindrome di astinenza.
  • Social Media Addiction: è una dipendenza comportamentale guidata da un bisogno incontrollabile di dedicare tempo e impegno ai social media, tale da compromettere altre importanti aree della vita.
  • Selfie Dysmorphia: è una particolare fissazione sui presunti difetti del proprio volto a seguito di innumerevoli selfie, che può condurre la persona a sottoporsi a interventi chirurgici per somigliare alla variante del proprio viso “con filtri applicati”.
  • Sindrome da Scrolling Infinito: è una delle tante trappole predisposte dalle tecniche di ingegneria comportamentale per mantenere un’attenzione costante di un utente sul feed di un social.
  • Doomscrolling: è l’azione compulsiva di leggere notizie negative sui feed dei social media.
  • Disturbo da Diffusione Patologica dell’Attenzione: si riferisce all’incapacità di mantenere l’attenzione in una specifica attività dovuta dal flusso incessante delle notifiche.
  • Effetto Google: è la tendenza a non ricordare le informazioni che possono essere trovate rapidamente tramite i motori di ricerca.
  • Insonnia Digitale: si riferisce all’insonnia correlata agli schermi retroilluminati di pc, tablet e smartphone che producono luci che inibiscono la produzione di melatonina, fondamentale per la qualità del sonno.
  • Cybercondria: è un fenomeno in cui ripetute ricerche su Internet riguardanti informazioni mediche provocano preoccupazioni eccessive sulla salute fisica.
  • TikTok Tourette: si tratta di tic motori e fonatori tipicamente associati alla sindrome di Tourette, probabilmente influenzati da un uso problematico dei social media.

Come se non bastasse, l’intensificazione del lavoro (l’overworking) condiziona in modo crescente l’equilibro tra lavoro e famiglia, scatenando comportamenti eterogenei. Sul lato professionale, si può assistere a fenomeni che transitano dal workaholism (la dipendenza dal lavoro) al quiet-quitting (il graduale disimpegno lavorativo), ma anche a filosofie come l’antiworking, fino alle dimissioni finalizzate a preservare il proprio benessere mentale per evitare il burnout digitale. Sul lato familiare, si osservano manifestazioni seriali di phubbing (l’abitudine di ignorare la compagnia dei familiari, preferendo lo smartphone) che, alla lunga, possono compromettere la qualità delle relazioni con gli affetti più cari.

Conclusioni

Davanti a un quadro così sconcertante per la salute pubblica, è fondamentale che le istituzioni intervengano al più presto, soprattutto promuovendo l’educazione psicodigitale nelle scuole ed emanando linee guida per le aziende tecnologiche a tutela della vita dei minori.

Neuroscienze e ricerca psicologica stanno confermando ogni giorno di più la necessità di aiutare genitori e insegnanti a gestire la disconnessione di figli e studenti di cui accompagnano lo sviluppo, puntando a preservare in toto tutte le fasi dell’età evolutiva, prima che sia davvero troppi tardi.

fonte: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/diritto-alla-disconnessione-perche-e-una-questione-di-salute-pubblica/

l’Autore: Luca Bernardelli – Psicologo, Autore del libro “Guida Psicologica alla Rivoluzione Digitale”, CEO di BECOME. Augmented Life, Cofounder di BOWMAN – Data Matter

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