L’importanza della qualità delle cure (anche nei Paesi a basso o medio reddito). di Gino Sartor

Specialmente nei paesi a basso o medio reddito il tempo che i medici dedicano al paziente è minimo, anche quando visitano pochi pazienti al giorno. Questo determina un certo grado di know-do gap, cioè una discrepanza tra come il medico dichiara di comportarsi di fronte ad un paziente con determinate caratteristiche cliniche e come poi realmente agisce quando vede tale paziente, proprio perché non gli dedica sufficiente attenzione o tempo. Spesso invece i provider senza formazione medica, proprio perché dedicano più tempo al paziente, riescono a colmare il gap teorico con i medici qualificati.

La copertura sanitaria universale, che permette a tutti i cittadini di accedere ai servizi sanitari senza eccessive ripercussioni finanziarie, è uno tra i principali strumenti su cui i Paesi dovrebbero puntare per migliorare la salute, almeno secondo l’agenda dell’OMS. La copertura sanitaria universale non può però prescindere dall’offrire servizi rispondenti a determinati standard di qualità. Le tre dimensioni della qualità sono:

  • l’efficacia, intesa come la capacità del sistema di fornire ai pazienti diagnosi accurate e tempestive nonché cure basate sull’evidenza;
  • la sicurezzadel paziente, cioè la tendenza a ridurre eventi avversi e condizioni iatrogene;
  • la centralità del paziente, ovvero l’esperienza e gli outcomeche il paziente riporta in seguito ad un trattamento.

Sebbene siano tre elementi egualmente importanti, l’efficacia è fondante per un sistema sanitario e per questo è nata l’idea di copertura sanitaria universale “efficace”.

Quando però non sono disponibili dati sistematici sulla qualità possiamo assumere che l’adeguatezza della formazione degli operatori sanitari e delle infrastrutture (ospedali, ambulatori, macchinari, farmaci) siano sufficienti a garantirla? Nei paesi a basso o medio reddito (LMIC, low and middle income countries), in cui mancano o sono di dubbia qualità sia i flussi informativi che le cartelle cliniche, sono stati effettuati studi per valutare la conoscenza teorica e la gestione pratica delle principali condizioni cliniche. Sono stati evidenziati due principali aspetti: l’irrilevanza dell’accessibilità ai servizi quando manca la qualità e lo scarso legame tra titoli di studio dei medici, conoscenza clinica e pratica clinica.

L’irrilevanza dell’accessibilità ai servizi quando manca la qualità

Nei LMIC, molte politiche sanitarie si sono focalizzate sull’accesso della popolazione ai servizi sanitari, utilizzando come indicatori il numero di visite e di trattamenti per paziente, il numero di operatori sanitari sul totale della popolazione e la prossimità delle strutture sanitarie. Nella regione rurale del Madhya Pradesh, una delle regioni più povere dell’India, vi sono in media 11 provider sanitari per villaggio [1]. La maggior parte di essi però non ha alcuna qualifica o formazione in ambito sanitario e perciò è esclusa dalle statistiche ufficiali pur avendo un ruolo fondamentale per l’accesso e il raccordo con il sistema sanitario[2]. Anche in altri Paesi sono presenti provider sanitari non laureati che fanno addirittura parte integrante del sistema sanitario ufficiale ma sono esclusi dalle statistiche[3]. Quando dunque si valutano indicatori come il rapporto medici/popolazione si perdono le informazioni relative a questi provider, cruciali nei servizi sanitari dei LMIC.

Se quindi l’accessibilità in questi contesti rappresenta un problema minore, proprio per la presenza di questi provider non ufficiali o non qualificati, la vera sfida sta nella qualità delle cure che i pazienti ricevono quando accedono al sistema sanitario. Alcuni studi[4,5] hanno reclutato soggetti appartenenti alle comunità locali formandoli per simulare sintomi riferibili a quadri clinici semplici per i quali fossero univoche e chiare la diagnosi e la terapia. Questo metodo di blind audit permette di presentare lo stesso caso clinico ai vari provider di cure primarie. In India, Cina e Kenya, sia nel settore pubblico che in quello privato, buona parte delle diagnosi effettuate era errata e così era anche la gestione della malattia, con eccessivo utilizzo di antibiotici e di altri farmaci o sottoutilizzo di terapie a basso prezzo, con chiare ripercussioni sia sugli outcome di salute che sulla spesa del sistema. È da scartare l’ipotesi che questi provider di cure primarie abbiano troppi pazienti da visitare al giorno. Piuttosto pare che il problema sia che ne vedono troppo pochi[4,8]. La scarsa qualità non riguarda però solamente le cure primarie: in Paesi in cui è stato incentivato il ricorso alle strutture pubbliche per partorire come Malawi[9], India[10,11] e Rwanda[12], non si è avuto un netto miglioramento degli outcome per madre e bambino. Questo nonostante siano disponibili infrastrutture e farmaci. Il problema quindi sembra legato ai ritardi nella diagnosi e nel trattamento delle complicanze e in un sistema di cure poco multidisciplinare, che spesso ragiona per compartimenti stagni.

Il legame tra titolo di studio, conoscenza clinica e pratica clinica

Un’ulteriore ipotesi è che la scarsa qualità del sistema di cure primarie e secondarie sia dovuta al grande numero di provider non formati. In realtà, anche i provider formati con adeguato accesso all’infrastruttura spesso non forniscono cure di qualità. Questo debole legame tra la qualifica e la qualità delle cure riflette la variabilità del sistema di formazione dei medici, sia tra Paesi diversi che nel contesto della stessa nazione.

Inoltre, la conoscenza medica, per tradursi in pratica clinica, necessita di un adeguato tempo di interazione medico-paziente. Specialmente nei LMIC, il tempo che i medici dedicano al paziente è minimo, anche quando visitano pochi pazienti al giorno. Questo determina un certo grado di know-do gap, cioè una discrepanza tra come il medico dichiara di comportarsi di fronte ad un paziente con determinate caratteristiche cliniche e come poi realmente agisce quando vede tale paziente, proprio perché non gli dedica sufficiente attenzione o tempo. Spesso invece i provider senza formazione medica, proprio perché dedicano più tempo al paziente, riescono a colmare il gap teorico con i medici qualificati.

Un altro fattore che può influenzare la pratica clinica sono i sistemi di incentivi ai medici basati sulla prescrizione di determinati farmaci o prestazioni. In un ospedale di Pechino[13], i medici prescrivevano meno antibiotici ai pazienti che dichiaravano che li avrebbero acquistati in una farmacia esterna all’ospedale, rispetto a quelli che prescrivevano ai pazienti che dichiaravano di acquistarli presso la farmacia dell’ospedale (dalla quale i medici ricevono un bonus in busta paga).

Conclusioni e soluzioni possibili

In questo articolo, Jishnu Das e colleghi[14] si focalizzano su una delle dimensioni della qualità, l’efficacia. Il prossimo obiettivo è capire come anche nelle altre dimensioni (sicurezza e centralità del paziente) possano instaurarsi dei simili meccanismi. Già però da questi risultati è evidente che i Paesi che intendono orientarsi verso un sistema sanitario a copertura universale debbano fin dall’inizio considerare la questione della qualità e dell’efficacia delle cure, e non solo quella dell’accessibilità che, per quanto anch’essa fondamentale, in molti contesti si è rivelata meno critica di quanto si pensasse. Per affrontare il problema della qualità delle cure è necessaria da una migliore formazione dei medici, grazie ad una rete di tutor e di strutture con adeguati volumi sanitari per permettere l’acquisizione delle competenze. Nelle aree rurali carenti di medici e personale sanitario adeguatamente formato, sono possibili più soluzioni: da un lato il task-shifting, cioè la formazione di providers non medici che in alcuni casi si sono rivelati addirittura migliori dei medici nel gestire percorsi di cura, ad esempio la terapia antiretrovirale[15, 16], dall’altro quella di organizzare lo spostamento dei pazienti dalle aree rurali a quelle urbane, come nel caso del sistema estadual de transporte em saúde in Brasile[17].

 

Gino Sartor, Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina preventiva. Università di Firenze

Bibliografia

  1. Das J, Mohpal A. Socioeconomic status and quality of care in rural India: new evidence from provider and household surveys. Health Aff (Millwood) 2016;35:1764-73. doi:10.1377/ hlthaff.2016.0558
  2. Sudhinaraset M, Ingram M, Lofthouse HK, Montagu D. What is the role of informal healthcare providers in developing countries? A systematic review. PLoS One 2013;8:e54978. doi:10.1371/journal. pone.0054978
  3. Mullan F, Frehywot S. Non-physician clinicians in 47 sub-Saharan African countries. Lancet 2007;370:2158-63. doi:10.1016/S0140- 6736(07)60785-5
  4. Das J, Kwan A, Daniels B, et al. Use of standardised patients to assess quality of tuberculosis care: a pilot, cross-sectional study. Lancet Infect Dis 2015;15:1305-13. doi:10.1016/S1473- 3099(15)00077-8
  5. Daniels B, Dolinger A, Bedoya G, et al. Use of standardised patients to assess quality of healthcare in Nairobi, Kenya: a pilot, crosssectional study with international comparisons. BMJ Glob Health 2017;2
  6. Das J, Holla A, Das V, Mohanan M, Tabak D, Chan B. In urban and rural India, a standardized patient study showed low levels of provider training and huge quality gaps. Health Aff (Millwood) 2012;31: 2774-84. doi:10.1377/hlthaff.2011.1356
  7. Sylvia S, Shi Y, Xue H, et al. Survey using incognito standardized patients shows poor quality care in China’s rural clinics. Health Policy Plan 2015;30: 322-33. doi:10.1093/heapol/czu014
  8. Mohanan M, Vera-Hernández M, Das V, et al. The know-do gap in quality of health care for childhood diarrhea and pneumonia in rural India. JAMA Pediatr 2015;169:349-57. doi:10.1001/ jamapediatrics.2014.3445
  9. Godlonton S, Okeke EN. Does a ban on informal health providers save lives? Evidence from Malawi. J Dev Econ 2016;118:112-32. doi:10.1016/j. jdeveco.2015.09.001
  10. Powell-Jackson T, Mazumdar S, Mills A. Financial incentives in health: New evidence from India’s Janani Suraksha Yojana. J Health Econ 2015;43: 154-69. doi:10.1016/j.jhealeco.2015.07.001
  11. Mohanan M, Bauhoff S, La Forgia G, Babiarz KS, Singh K, Miller G. Effect of Chiranjeevi Yojana on institutional deliveries and neonatal and maternal outcomes in Gujarat, India: a difference-in-differences analysis. Bull World Health Organ 2014;92:187-94. doi:10.2471/BLT.13.124644
  12. Chari A, Okeke E. Can institutional deliveries reduce newborn mortality? Evidence from Rwanda. RAND, 2014
  13. Currie J, Lin W, Meng J. Addressing antibiotic abuse in China: an experimental audit study. J Dev Econ 2014;110:39-51. doi:10.1016/j. jdeveco.2014.05.006
  14. Das J, Woskie L, Rajbhandari R, Abbasi K, Jha A. Rethinking assumptions about delivery of healthcare: implications for universal health coverage. 2018 May 21;361:k1716. doi: 10.1136/bmj.k1716.
  15. Sanne I, Orrell C, Fox MP, et al, CIPRA-SA Study Team. Nurse versus doctor management of HIVinfected patients receiving antiretroviral therapy (CIPRA-SA): a randomised non-inferiority trial. Lancet 2010;376:33-40. doi:10.1016/S0140- 6736(10)60894-X
  16. Fairall L, Bachmann MO, Lombard C, et al. Task shifting of antiretroviral treatment from doctors to primary-care nurses in South Africa (STRETCH): a pragmatic, parallel, cluster-randomised trial. Lancet 2012;380:889-98. doi:10.1016/S0140- 6736(12)60730-2
  17. Marques AJdS. Lima MdS. O sistema estadual de transporte em saúde de Minas Gerais: relato de experiência. Revista de Administração Hospitalar e Inovação em Saúde 2012;8:81-4.

FONTE: saluteinternazionale.info

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