Lavoro domestico, oltre le sanatorie. di Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin

Le sanatorie non sono l’unico strumento di gestione dei flussi migratori. In particolare nel lavoro domestico e di cura potrebbe essere più vantaggioso ricorrere a interventi come la reintroduzione dello sponsor o la formazione nei paesi di origine.

 

 

Un settore di immigrati

In un precedente articolo abbiamo evidenziato come il settore del lavoro domestico sia allo stesso tempo quello con la più alta incidenza di lavoratori stranieri (73 per cento) e di lavoratori irregolari (58 per cento).

D’altra parte, possiamo affermare che le attuali dinamiche demografiche e la struttura del mercato del lavoro in Italia rendono ancora necessaria la manodopera immigrata. Ne è prova il fatto che negli ultimi anni i settori con una forte presenza di manodopera straniera hanno registrato un aumento della componente irregolare, proprio in concomitanza della chiusura dei canali di ingresso legali. La stessa tesi, peraltro, è sostenuta dal recente rapporto annuale Inps, in cui si evidenzia che “in presenza di decreti flussi del tutto irrealistici, questa domanda si riversa sull’immigrazione irregolare”.

Alla luce di queste considerazioni, è positivo che il recente “decreto dignità” (convertito con la legge 96 del 9 agosto 2018) abbia escluso il lavoro domestico dai settori per cui è previsto un aumento per i rinnovi dei contratti a termine. Apprezzabile anche l’estensione al lavoro domestico degli sgravi per le assunzioni di lavoratori under 35.

Fino al 2012, lo strumento più utilizzato per affrontare il problema era quello delle “sanatorie”, che portavano benefici immediati ma non contribuivano a un cambiamento sostenibile.

In un recente articolo pubblicato su Neodemos, si calcola che le undici regolarizzazioni attuate dal 1982 al 2012 abbiano portato all’emersione di 2,8 milioni di immigrati. La più cospicua fu quella del 2002, in occasione dell’approvazione della legge Bossi-Fini, con quasi 650 mila regolarizzazioni.

Dal 2012, invece, gli ingressi per lavoro sono stati ridotti drasticamente, per cui i principali canali sono diventati i ricongiungimenti familiari e i motivi umanitari.

Figura 1 – Ingressi nell’anno di cittadini non comunitari per motivo del permesso (2007-2016)

Fonte: Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Istat

Gli strumenti su cui puntare

Tuttavia, le sanatorie non sono l’unico strumento di gestione dei flussi migratori. Anzi, pur generando un beneficio immediato sia per i lavoratori che per i datori di lavoro e lo stato, non rappresentano una soluzione durevole e sostenibile.

Nel corso degli anni erano state introdotte altre misure, alcune delle quali frettolosamente accantonate senza valutarne seriamente i risultati.

Ne è un esempio l’istituto dello “sponsor”, periodicamente evocato nella discussione sulle politiche migratorie. Previsto dalla legge Turco-Napolitano del 1998, fu abrogato dalla legge Bossi-Fini nel 2002. Attraverso questo istituto, i datori di lavoro potevano avvalersi dell’assistenza di soggetti abilitati a svolgere un ruolo di garanti. Anche su questo tema la discussione assume spesso toni ideologici, è dunque bene ricordare che non è mai stato svolto un monitoraggio sul triennio nel quale le norme sullo sponsor restarono in vigore.

Merita una menzione anche un altro istituto, previsto dall’articolo 23 del Testo unico, che permette la realizzazione di progetti formativi direttamente nei paesi di origine dei lavoratori stranieri. Si tratta naturalmente di un percorso fuori portata per le famiglie, ma che potrebbe essere rimodulato a favore delle numerose organizzazioni di servizi alla persona sorte in questi anni, con una formulazione appropriata al settore e mirata a pochi paesi specifici (come Romania, Moldavia o Filippine).

È poi curioso notare che l’acceso dibattito sui “voucher” abbia dimenticato la pluriennale esperienza francese che, proprio nel campo dei servizi alla persona, ha dato segnali incoraggianti. Il piano Borloo introdotto nel 2005 ha cambiato l’assetto del settore, istituendo l’Agenzia nazionale dei servizi alla persona con ruoli di coordinamento interministeriale e introducendo lo Cheque Emploi Services Universel (Cesu), grazie al quale la famiglia può scegliere fra diversi fornitori accreditati e godere di considerevoli agevolazioni fiscali. Da tempo anche in Italia le associazioni di famiglie chiedono maggiore sostegno, ad esempio attraverso la totale deduzione del costo del lavoro domestico.

Viste le dinamiche demografiche e sociali in corso in Italia, negli anni a venire sarà inevitabile un aumento dei lavori di cura e assistenza, generalmente svolti da persone con bassa qualifica.

La regolarizzazione dei lavoratori in nero e l’intensificazione dei controlli, parallelamente alla realizzazione di politiche attente alle esigenze delle famiglie, sono alcune delle sfide da affrontare in un settore destinato ad avere un peso crescente nel nostro paese. Perché rinunciare a un possibile aumento delle entrate contributive e fiscali?

Fonte: Lavoce.info

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