Chi (non) controlla le sanità regionali. di Claudio Maria Maffei

Gli interventi sugli effetti negativi della regionalizzazione della sanità sono costanti e sparare sulla regionalizzazione è attività diffusa, ma la mia impressione è che chi la pratica abbia scarsa conoscenza di merito sul tema. Tanto è vero che quasi mai capita di leggere interventi che in modo mirato e  documentato identifichino le specifiche modalità con cui l’eccesso di autonomia regionale influirebbe sulla qualità dei servizi sanitari erogati.

E quasi mai capita di leggere contributi sulle “falle” nel sistema di indirizzo, coordinamento e verifica che il livello centrale fa sui Servizi Sanitari Regionali attraverso i suoi organi  a partire dal Ministero della Salute. Qualunque sia l’ambito di autonomia riconosciuto alle Regioni sarà inevitabile sia un loro coinvolgimento nella programmazione e gestione locale degli interventi che una disomogeneità nei livelli di performance dei vari Servizi Sanitari Regionali. Rimarrà dunque cruciale avere un sistema di monitoraggio dei processi a carico delle Regioni  e della qualità dei servizi dalle stesse erogati.

Vediamo come si fa oggi questo monitoraggio usando ancora una volta come base l’Atto di Indirizzo 2021 del Ministro della Salute. Ho già avuto modo di commentare qui su QS come le verifiche previste in questo atto sulla applicazione nelle Regioni del DL 70/2015 e sul Piano Nazionale della Cronicità siano inefficaci ai limiti della inconsistenza. Adesso guardiamo più da vicino gli strumenti con cui il livello centrale monitora i Servizi Sanitari Regionali. Stiamo parlando del  modo in cui lo Stato si assicura che le Regioni pur nella loro autonomia diano servizi adeguati ai cittadini evitando i “nefasti” effetti della regionalizzazione.

Per darci un minimo di riferimento metodologico per l’analisi di questi strumenti cerchiamo di valutarne la sensibilità (e cioè la capacità di riconoscere le performance inadeguate), la completezza (e cioè la capacità di valutare le principali tipologie di servizi e le principali tipologie di processi a carico delle Regioni), la trasparenza (e cioè la possibilità data agli stakeholder  di verificare quanto emerge dal loro utilizzo) e la tempestività (e cioè la capacità di identificare precocemente degli scostamenti della performance dai valori attesi).

I due principali strumenti utilizzati dal Ministero per queste attività di monitoraggio sono il cosiddetto sistema di verifica degli adempimenti LEA che include al suo interno anche il sistema di indicatori del cosiddetto Nuovo Sistema di Garanzia. Nel caso dell’impianto complessivo del sistema degli adempimenti LEA il fondamento si trova in un Accordo Stato-Regioni del 2005, mentre il Nuovo Sistema di Garanzia  trova come riferimento un Decreto del Ministero della Salute del 12 marzo 2019.

Il sistema degli adempimenti LEA  prevede (così scrive nel suo sito il Ministero) per la loro  valutazione annuale che il Comitato LEA predisponga un questionario corredato di note esplicative, trasmesso alle Regioni tramite il Tavolo adempimenti presso il Ministero dell’economia e delle finanze. A partire dalla documentazione prodotta dalle Regioni, si tengono riunioni tecniche ai fini della certificazione degli adempimenti.” Dal sito del Ministero sono recuperabili da questa pagina il Questionario Lea 2018 assieme alle Note per la compilazione e gli Allegati. Sempre dal sito sono recuperabili i dati della verifica sull’anno 2016, ultimo anno per cui sono disponibili.

Il questionario in termini di completezza copre moltissime tematiche che coprono ad esempio l’assistenza ospedaliera, le liste di attesa, il controllo della spesa farmaceutica, l’assistenza domiciliare e residenziale, la prevenzione, il Piano di aggiornamento del personale sanitario, i percorsi diagnostico-terapeutici, le cure palliative e la terapia del dolore, il rischio clinico e la sicurezza dei pazienti, il fascicolo sanitario elettronico, le cure primarie, il percorso nascita fino al gioco d’azzardo patologico. Purtroppo la “sensibilità” di questo sistema degli adempimenti è bassa in quanto nella grande maggioranza dei casi la verifica è formale e si fa sugli atti  e questo spiega la fioritura nelle Regioni di atti deliberativi  senza ricaduta pratica.

E’ questa la logica alla base di quella sanità “di carta” che è in qualche modo frutto da una parte e alimento dall’altra di quella cultura “da mandarino” di tanti funzionari. Al di fuori della loro ristretta cerchia contenuti e metodi della verifica degli adempimenti costituiscono un oggetto misterioso, ma essendo questa verifica anche potenzialmente pericolosa visto che al suo superamento è legato il riconoscimento di una quota premiale chi ne conosce i riti si trova in una posizione di forza. Sempre a proposito di sensibilità del sistema, ci sono intere e significative aree di intervento scoperte come la salute mentale e la neuropsichiatria infantile, il Piano della Cronicità e il Piano delle Demenze.

Il questionario soffre  poi di enormi problemi di trasparenza  e tempestività.  Sulla tempestività  basti dire  che la raccolta dei dati con il questionario  comincia  dopo qualche mese  dall’inizio  dell’anno successivo. Quanto alla trasparenza le date citate prima parlano da sole:  l’ultimo questionario disponibile  risale al 2018 e gli ultimi dati  di valutazione disponibili (oltretutto in forma ultra-sintetica) risalgono al 2016.

Ma  soprattutto  tutta la documentazione   relativa  allo scambio  tra Comitato LEA e Regione è di fatto secretata. Per averne qualche anno fa copia di quella relativa alla Regione Marche ho dovuto fare un accesso agli atti al Ministero. SI arriva all’assurdo che mentre i flussi informativi sono un obbligo delle Regioni verso il Ministero non è per le Regioni un obbligo mettere a disposizione le relative elaborazioni nei loro siti istituzionali.

L’ altro strumento ministeriale per il monitoraggio delle performance regionali è costituito dal sistema di indicatori del Nuovo Sistema di Garanzia. Questo sistema ha sostituito il sistema di indicatori della vecchia Griglia Lea. Il nuovo sistema di indicatori  ha  dietro un robusto lavoro preparatorio  ricostruibile sulla base di quanto riportato nella pagina dedicata del sito del Ministero.  Il sistema include complessivamente 88 indicatori di cui 22 cosiddetti “core” ed essendo il sistema ufficialmente in funzione a partire dai dati 2020 ed essendo disponibile solo il risultato dell’applicazione di questi 22 indicatori ai dati regionali del 201620172018,  non è possibile al momento fare alcuna valutazione compiuta.

Alcune osservazioni è però possibile farle e riguardano  l’assenza di indicatori su aree strategiche su cui non a caso ci sono lacune anche nel questionario sugli adempimenti (le solite salute mentale, neuropsichiatria infantile e demenze), i ritardi con cui i dati e le analisi relative a questi indicatori sono disponibili e la mancanza ancora una volta di trasparenza almeno a livello di alcune Regioni.

Di fatto al momento nonostante l’evidente grande sforzo fatto per definirne i contenuti questo sistema contribuisce involontariamente a quella logica della “sanità di carta” che prima ho descritto. Significativa a questo riguarda la parte dedicata ai Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali (PDTA), davvero interessantissima come impianto, ma se si va a vedere la pagina dedicata del sito si   legge quel che segue relativamente alla sperimentazione sui dati 2017: “I risultati ottenuti evidenziano la necessità di attivare un confronto diretto con i referenti regionali allo scopo di individuare e discutere i potenziali determinanti della limitata aderenza e dell’elevata variabilità tra Regioni e P.A., e di promuovere attività di audit per approfondire particolari aspetti relativi sia alla qualità dei dati che ai sistemi organizzativi di erogazione dell’assistenza”.

Se io apro il sito dell’Agenzia Regionale Sanitaria trovo la pagina sui PDTA vuota, mentre se controllassi il questionario inviato al Ministero troverei il riferimento a decine di Delibere di approvazione di PDTA. La sanità di carta, appunto. In sostanza, il cantiere del monitoraggio dei PDTA è stato aperto, ma ancora non si vedono gli effetti dei lavori iniziati già da diversi anni.

In ogni caso un sistema di indicatori senza un sistema di valutazione dei processi  (sia assistenziali, che organizzativi e decisionali) darà sempre informazioni parziali e rischierà sempre di generare situazioni in cui il valore dell’indicatore migliora, ma i processi rimangono sostanzialmente invariati.

E  adesso qualche spunto di proposta:

1. Introdurre nel monitoraggio veri e propri sistemi di accreditamento dei principali processi programmatori, come quelli ad esempio (sottolineo: ad esempio) relativi alla rete ospedaliera  in applicazione del DM 70/2015, al Piano della Cronicità,  al Piano delle Demenze, alla rete dei Servizi per la Salute Mentale e a quelli di Neuropsichiatria infantile, alla rete degli Ospedali di Comunità,  ai progetti di telemedicina e alla programmazione dl fabbisogno di personale sanitario;

2. Introdurre elementi vincolanti come ad esempio l’applicazione del DM 70 in assenza del quale non si accede alle quote  premianti e non si accede al finanziamento dei programmi di edilizia sanitaria;

3. Introdurre la possibilità di visite per una verifica  a tipo audit su processi che in base ad eventi sentinella (da definirsi) si possano ritenere inadeguatamente gestiti da parte della Regione;

4. Rendere vincolante la trasparenza regionale di tutti i dati e tutti i documenti relativi al sistema di monitoraggio;

5. Riorientare i meccanismi di valutazione interni alle Regioni compreso il funzionamento degli Organismi indipendenti di valutazione. In  alcune Regioni come le Marche sulla sanità gli obiettivi a giudicare dai Piani Annuali della Performance è come se li fissassero i valutati.

Ma occorre soprattutto modificare la cultura ed il clima attorno alla valutazione. Alle regole di oggi una Giunta (quelle delle Marche tanto per fare nomi) può decidere che il DM 70 è un riferimento culturale, mentre sulla rete ospedaliera il principale riferimento è il tuo programma elettorale, puoi ignorare i dati sullo stato dei servizi di  salute mentale che ti dicono che sei agli ultimi posti in Italia come spesa pro-capite, puoi far finta di niente sui tempi di attesa al Pronto Soccorso che i più lunghi tra quelli delle Regioni che partecipano al sistema di valutazione delle performance regionali in sanità del Sant’Anna. Il problema non è la regionalizzazione in sé, ma anche – se non soprattutto – la carenza dei  controlli centrali sul suo impatto.

E se il centro non controlla non è certo la Regione ad autocontrollarsi. E senza dati non ci possono riuscire nemmeno i cittadini e le forze sociali.

Claudio Maria Maffei è Coordinatore scientifico Chronic-On

fonte: Quotidiano Sanità

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