SANITÀ IN PERENNE EMERGENZA: sul II rapporto di Cittadinanzattiva

Secondo rapporto civico di Cittadinanzattiva: c’è molto da fare per salvare il servizio sanitario. Barbaresi, Cgil: “Rendere effettivo il diritto alla salute”

Quarantacinque anni sono una bella età: è quella appena raggiunta dalla Legge che, dando attuazione all’articolo 32 della Costituzione, dà vita al servizio sanitario nazionale pubblico e universale. Quarantacinque anni portati malissimo, non per l’invecchiamento prima del tempo della norma, anzi, ma per i colpi quasi mortali che soprattutto negli ultimi vent’anni gli sono stati inferti. Tagli su tagli che nonostante la pandemia e i suoi insegnamenti, l’esecutivo Meloni approfondisce.

 

Ed è inutile strapparsi le vesti per le lunghe liste d’attesa o per i pronto soccorso inagibili o quasi, se non si stanziano le risorse per sbloccare la situazione. Così come va bene aumentare le borse di studio per le specializzazioni mediche, ma se non si toglie il tetto di spessa per il personale le regioni quei medici non potranno assumerli e si continua a reclutarli a gettone (nel bilancio quei compensi non compaiono come spesa per personale ma per beni e servizi) spendendo così assai di più.

Per la Cgil

 

“Il tema del diritto alla salute, della difesa e del rilancio del sistema sanitario nazionale è uno dei nodi centrali della mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil di queste settimane e che ha già portato a riempire le piazze di Bologna e di Milano e che sabato prossimo ci porterà in piazza a Napoli”. Lo afferma Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Confederazione di Corso d’Italia, che aggiunge: “Siamo di fronte a una situazione ormai davvero insostenibile mentre nel Def si programma la riduzione della spesa sanitaria che nel 2024 scenderà del 2,4% rispetto all’anno in corso e che, in rapporto al Pil, affonderà al 6,2% a partire dal 2025: rappresenta il valore più basso degli ultimi decenni. Se si considera che già adesso in Italia spesa per la salute è ben al di sotto della media europea e lontanissima da quella dei Paesi più avanzati come la Francia e la Germania, il quadro che emerge è davvero drammatico”.

Il Rapporto

Per il secondo anno consecutivo Cittadinanzattiva ha presentato un Rapporto costruito attraverso l’integrazione dei dati provenienti dalle 14.272 segnalazioni dei cittadini, giunte nel corso del 2022 alle sedi locali e ai servizi Pit Salute di Cittadinanzattiva, con dati provenienti da fonti istituzionali, accademici o della ricerca. Lo scopo del volume, perché di vero e proprio volume si tratta, è quello di “mostrare come si traduce oggi il diritto alla salute dei cittadini nel complesso sistema del federalismo sanitario”. E come si traduce? Male.

Le liste di attesa

Delle oltre 14.000 segnalazioni arrivate a Cittadinanza attiva ben una su tre riguarda l’enorme ritardo con cui si riescono a effettuare visite specialistiche, indagini strumentali e interventi chirurgici programmati. Si legge nel Rapporto: “L’accesso alle prestazioni è risultato l’ambito più critico per i cittadini che nel 2022 si sono rivolti a Cittadinanzattiva. In questo ambito i temi specifici riguardano: le liste d’attesa (49,5%), le difficoltà di accesso alle prestazioni (43,5%), l’intramoenia (6,9%).

Le lunghe liste d’attesa da anni ormai rappresentano un elemento di enorme disagio e stress per i cittadini; nel corso degli ultimi tre anni (2020-2023) è esploso in maniera incontenibile a causa di tutti i ritardi ulteriori dovuti all’emergenza da Covid che si sono sommati alle ‘disfunzioni’ già presenti nella gestione delle liste d’attesa”. Queste percentuali si traducono in disfunzioni vere e proprie: “Due anni per una mammografia di screening, tre mesi per un intervento per tumore all’utero che andava effettuato entro un mese, due mesi per una visita specialistica ginecologica urgente da fissare entro 72 ore, sempre due mesi per una visita di controllo cardiologica da effettuare entro 10 giorni. Sono alcuni esempi di tempi di attesa segnalati dai cittadini che lamentano anche disfunzioni nei servizi di accesso e prenotazione, ad esempio determinati dal mancato rispetto dei codici di priorità, difficoltà a contattare il Cup, impossibilità a prenotare per liste d’attesa bloccate”.

Le prime visite

Se il medico di base chiede una visita specialistica dell’endocrinologo o del cardiologo, per non parlare dell’oncologo, molto probabilmente è perché sospetta ci sia una patologia che afferisce a quella specializzazione. Può non essere necessario che lo specialista ci veda entro una settimana, ma magari entro un mese sì. “Per le visite che hanno una classe B-breve (da svolgersi entro 10 giorni) i cittadini che – scrive ancora Cittadinanzattiva – ci hanno contattato hanno atteso anche 60 giorni per la prima visita cardiologica, endocrinologica, oncologica e pneumologica. Senza codice di priorità, si arrivano ad aspettare 360 giorni per una visita endocrinologica e 300 per una cardiologica”.

Le indagini strumentali

Chi è donna lo sa: la prevenzione è la strategia più efficace per contrastare il cancro al seno e all’utero. Vale lo spesso per ciò che riguarda quello al colon o ai polmoni. Ma se per effettuare una mammografia programmabile ci possono volere otre due anni (730 giorni) e per quella da effettuare con priorità B (entro 10 giorni), si può aspettarne 150, di quale prevenzione stiamo parlando? E se volessimo solo occuparci dei costi e non del diritto alla salute, si spende di più per fare una mammografia nei tempi adeguati o per operare e curare una donna che per mancanza di tempestività nei controlli si trova ad affrontare un cancro avanzato?

Personale sanitario in fuga

Difficilmente le cose potranno migliorare se medici e infermieri, e in genere i professionisti della salute, non aumenteranno. Dice ancora la segretaria della Cgil: “Sul fronte del personale nel Def non c’è assolutamente nulla, né per i rinnovi dei contratti, né per un indispensabile piano straordinario di assunzioni, né per dare risposte ai professionisti sanitari che hanno mandato avanti il sistema con sacrifici enormi, e tantomeno il superamento del blocco della spesa del personale.

Tutto ciò mentre prosegue la fuga di medici e infermieri che dopo anni difficilissimi non ce la fanno più a sopportare condizioni di lavoro, peraltro a fronte di retribuzioni tra le più basse in Europa. Se non ci sono le risorse economiche, umane e organizzative per il funzionamento dell’attuale sistema, ci chiediamo come si potrà garantire il funzionamento delle case e degli ospedali di comunità o l’assistenza domiciliare con il rischio di mettere in discussione un sistema di assistenza territoriale indispensabile per dare risposte ai bisogni di salute e cura dei cittadini che oggi, in molti casi, sono lasciati soli”.

Non solo liste di attesa

Lo raccontano le cronache dei giornali, ma in realtà chi di noi ne ha fatto esperienza diretta, purtroppo lo sa: una delle criticità maggiore del servizio sta nei pronto soccorso. Ben il 77% delle segnalazioni arrivate lo scorso anno a Cittadinanzattiva lo attesta. “Sono stati segnalati – dice il Rapporto – sovraffollamento nei pronto soccorso, lunghe ore d’attesa, disorganizzazione nella gestione delle priorità e carenza di personale. Nel settore dell’assistenza ospedaliera, da anni urge una riforma di sistema che vada di pari passo con la riforma dell’assistenza territoriale e di prossimità. La carenza di personale, il ritardo nell’impiego dei fondi del Pnrre la pandemia appena conclusa, hanno ridotto quasi al collasso un settore già di per sé molto critico”.

La casa primo luogo della salute, magari

L’assistenza domiciliare sembra davvero il grande sconosciuto della nostra sanità. I dati sono impietosi: “Ad oggi in Italia meno di tre anziani over 65 su 100 è inserito in percorsi di Adi, con una forbice tra le diverse aree del Paese che va da meno dell’1% in Molise, Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Bolzano, al quasi 5% (in Abruzzo)”. Per non parlare dei consultori, per legge dovrebbero essere 1ogni 20mila abitanti, la media nazionale – invece – è un ogni 35mila.

Quale futuro?

Se questo è il quadro, qualcosa più di un sospetto è che ci sia un intento preciso di ridurre sempre più il perimetro della sanità pubblica e universale per allargare quelli della sanità privata convenzionata, privata legata alle assicurazioni e privata “pura”. Se questo disegno dovesse affermarsi ci saranno cittadini in grado di “comprare” il proprio diritto alla salute e quelli che non potranno farlo “accontentandosi” di una sanità pubblica sempre più residuale.

Per Barbaresi: “Il governo sta programmando e pianificando il collasso del sistema sanitario nazionale di fronte al quale, non solo non vogliamo rassegnarci ma continueremo a mobilitarci con i lavoratori, i pensionati, l’associazionismo civico e con tutti i cittadini e le cittadine che si riconoscono nei principi fondanti del servizio sanitario: universalità, uguaglianza ed equità. Finché non arriveranno le risposte ai bisogni dei cittadini andremo avanti mettendo in campo tutto quello che sarà necessario fare per salvare e rilanciare il servizio e per rendere effettivo il diritto alla salute ed esigibile l’articolo 32 della Costituzione”.

fonte: Collettiva articolo di Roberta Lisi

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