La guerra alla droga è anche guerra alla ricerca. di  Marco Perduca

PERDUCA
Marco Perduca

Alla sessione inaugurale della 73° Assemblea generale dell’ONU il 26 settembre scorso, Donald Trump ha organizzato un incontro per rafforzare la lotta mondiale al narcotraffico. La dichiarazione finale, sottoscritta anche dall’Italia, è il solito concentrato di generici impegni per la riduzione della domanda e dell’offerta passando per l’aiuto a chi si deve disintossicare o vede in Internet il nuovo spazio dello spaccio mortale. Il testo esclude totalmente ogni riferimento all’uso medico e scientifico delle “droghe” che dall’inizio degli anni Sessanta sono proibite a livello globale se non utilizzate, per l’appunto, per migliorare la salute umana.

Nessuno si aspettava che gli USA si assumessero la responsabilità di promuovere quelle ricerche che, proprio in diversi dipartimenti universitari statunitensi, evidenziano che le sostanze psichedeliche possono, tra le altre cose, rivoluzionare anche la cura di vari disturbi mentali. Ma che gli europei che consentono la prescrizione di cannabis, o paesi che l’hanno legalizzata come il Canada e l’Uruguay, non abbiano sollevato neanche marginalmente il problema conferma che il proibizionismo rimane l’architrave del pensiero, oltre che delle leggi e delle politiche della stragrande maggioranza delle cosiddette democrazie. Un pensiero che a Roma viene incarnato nei suoi risvolti più reazionari dal Ministro della Famiglia Lorenzo Fontana, mentre la Ministra della Salute Giulia Grillo promuove la cannabis terapeutica ed è a favore della totale legalizzazione della pianta.

A fronte di ricerche in stadio molto avanzato, principalmente grazie a finanziamenti privati, i ricercatori sulle sostanze psicotrope e psicoattive devono far molta attenzione a come divulgano le loro conclusioni, o promuovono il proprio lavoro, perché le norme nazionali e internazionali restano particolarmente restrittive e punitive quando si tratta di determinate sostanze. Nei mesi scorsi sono fioccate multe salatissime ad alcune farmacie che informavano sulla possibilità di acquisto di cannabinoidi medici. In attesa di conoscere i dati ufficiali relativi alle prescrizioni di cannabis terapeutica in Italia, non si ha notizia di gravi intossicazioni da THC o CBD somministrati sotto controllo medico, mentre cresce il numero di pazienti che affermano di star meglio a seguito dell’assunzione della cannabis. Più luci che ombre quindi, ma con poca letteratura scientifica a sostegno.

Nel marzo 2019, a tre anni dalla sessione speciale sulle droghe di New York, gli Stati membri delle Nazioni Unite si riuniranno a Vienna per fare il punto sul cosiddetto “sistema internazionale di controllo delle droghe”. Nei documenti preparatori i riferimenti ai farmaci essenziali, tipo la morfina, sono scarsi, mentre nessuno tiene conto dei progressi scientifici che la ricerca medica ha prodotto sulle sostanze contenute nelle tabelle delle tre Convenzioni. Anche il lavoro di “revisione critica” della cannabis promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è silenziato. C’è il grosso rischio quindi che l’uso medico delle sostanze controllate continui a essere semi-proibito violando, tra gli altri, anche il diritto umano alla scienza su cui l’ONU sta lavorando da un paio d’anni.

Il 5 ottobre 2018 all’Università Statale di Milano (via Festa del Perdono 7) dalle 14 alle 16.30, Science for Democracy e l’Associazione Luca Coscioni organizzano un incontro intitolato “Droghe: scienza negata, terapie proibite” su psilocibina e cannabis con esperti e ricercatori italiani ed europei per spiegare quanto “bene” possano fare le “droghe”.

Fonte: Fuoriluogo

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