La riforma dei servizi per l’infanzia e il lavoro di cura dei bambini tra residualità e universalismo. di Stefano Neri

Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 1 2018 di Rps e scaricabile dagli abbonati nella versione integrale al link: https://www.ediesseonline.it/prodotto/che-genere-di-welfare 

Fino a oggi il contributo dei servizi per l’infanzia sia sotto il profilo educativo e formativo sia sotto quello occupazionale è stato nel com-plesso molto limitato nel welfare italiano, almeno nel caso dei servizi per i bambini con meno di 3 anni per i quali la famiglia ha sempre rappresentato l’istituzione di cura ed educazione largamente prevalente. Questa caratteristica tipica del nostro sistema socio-educativo, condivisa con altri paesi mediterranei, è testimoniata dai tassi di copertura dei servizi per i bambini tra 0 e 2 anni, espressi sia in termini di iscritti sia di posti disponibili per ogni Regione, come mostrano le tabelle riportate nel primo paragrafo di questo articolo. Pur con rile-vanti differenze territoriali, i tassi presentano valori ben al di sotto de-gli obiettivi fissati dalla Strategia di Lisbona (33% di iscritti sul totale dei bambini con meno di 3 anni).

La riforma approvata con il decreto legislativo 65/2017 contiene al suo interno le potenzialità per determinare la fine di tale condizione di residualità e marginalità dei servizi per l’infanzia, proponendo rilevanti obiettivi di espansione del servizio e di riduzione delle disparità territoriali, suscettibili di avere forti ricadute sull’occupazione (in questo settore prevalentemente femminile). Inoltre, la riforma mira ad elevare e omogeneizzare la qualità dell’offerta, ora assai eterogenea non solo a seconda delle aree territoriali ma anche dei gestori dei servizi considerati, mediante l’introduzione di diverse innovazioni incentrate sull’innalzamento del livello di qualificazione e sul miglioramento complessivo delle condizioni del lavoro educativo e di cura.

Dopo una sezione introduttiva, l’articolo analizza il decreto 65/2017, che istituisce il sistema integrato di educazione e istruzione per i bambini al di sotto dei 6 anni (il cosiddetto «0-6»), composto dai “servizi educativi per l’infanzia” per bambini con meno di 3 anni (asili nido e micronidi, servizi integrativi e sezioni primavera) e dalle scuole dell’infanzia per i bambini da 3 a 5 anni compiuti. Vengono prima il-lustrati i contenuti del decreto che esprimono gli obiettivi di espansione quantitativa e di riduzione delle disparità territoriali dei servizi educativi per l’infanzia, il cui conseguimento è peraltro reso più difficile dalle recenti tendenze al calo degli iscritti, nonché gli obiettivi di salvaguardia del livello di copertura pressoché universale della scuola dell’infanzia. Sono poi evidenziate e analizzate le norme che identificano gli obiettivi di innalzamento del livello qualitativo di servizio: a questo riguardo si mostra come esse puntino soprattutto sulla qualità del lavoro prestato da educatori e docenti, mediante un grado più elevato di qualificazione (con la laurea obbligatoria per le educatrici dei servizi), un maggiore investimento sulla formazione professionale, l’introduzione di strumenti di indirizzo e supporto dell’attività didatti-ca e pedagogica (come il coordinamento pedagogico) e di condizioni in grado di migliorare il lavoro con i bambini (quali, ad esempio, l’aumento delle ore di compresenza).

Esistono però anche una serie di criticità tali da mettere in dubbio la capacità di raggiungere, pur gradualmente e progressivamente, gli ambiziosi obiettivi previsti dalla riforma. Oltre alla limitatezza delle risorse finanziarie a disposizione, pur di per sé ragguardevoli, a fronte de-gli scopi dichiarati, i problemi più rilevanti nella costruzione e implementazione del sistema integrato potrebbero essere rappresentati dalle debolezze e difficoltà dei soggetti principali cui sono affidati i compiti di governance del sistema, ossia il Ministero dell’Istruzione e i Comuni. Per il primo, l’attribuzione di compiti e responsabilità nei servizi educativi per i bambini da 0 a 2 anni, mai avuti in questo modo in passato, è probabilmente indispensabile, ma deve essere accompagna-to un forte investimento in risorse organizzative e professionali. Tale investimento deve riguardare anche la scuola dell’infanzia, spesso trascurata.

Per i Comuni, la riforma compie una scelta che rischia di essere paradossale. Con essa infatti lo Stato sembra riconoscere l’alto livello qualitativo di molte esperienze diffuse nei Comuni, soprattutto nel Centro-Nord, e il ruolo da queste svolto come punto di riferimento per tutto il sistema dell’offerta. Tale riconoscimento avviene sia mediante l’estensione di alcuni caratteri costitutivi delle migliori esperienze comunali alla totalità dei servizi (ad esempio il coordinamento pedagogico o un’ampia compresenza del personale educatore e docente), sia mediante l’attribuzione di funzioni molto rilevanti nel governo del nuovo sistema a livello locale.

Tuttavia, ciò si verifica in una fase di forte difficoltà e di cambiamento dei Comuni. Sotto la spinta delle politiche di austerità dell’ultimo decennio perpetrate proprio dal livello centrale, molti Comuni sono immersi in processi di trasformazione dei servizi per l’infanzia a gestione diretta, affidati a soggetti terzi mediante esternalizzazioni o a entità o moduli organizzativi controllati in vario modo dagli enti loca-li. Per quanto l’esito finale di tali processi non sia ancora chiaro, l’indebolimento potenziale o effettivo delle strutture organizzative e competenze professionali dei servizi comunali è evidente e tale da far dubitare della capacità degli enti locali di assolvere le funzioni ad essi affidate dalla riforma.

Inoltre nella regolazione del rapporto di lavoro l’abbandono della gestione diretta dei servizi comunali si accompagna spesso al passaggio dal contratto di lavoro degli enti locali ad uno di quelli del settore privato, con il peggioramento delle condizioni di lavoro del personale e possibili effetti peggiorativi sulla qualità del servizio. In questo senso, l’espansione dei servizi per l’infanzia favorita dalla riforma potrebbe accompagnarsi non ad un miglioramento della qualità ma ad un suo peggioramento, secondo una modalità affine alla cosiddetta “soluzione anglosassone” ai problemi della bassa produttività dei servizi di cura, descritta dalla letteratura.

Stefano Neri è professore associato di Sociologia dei processi economici e del lavoro presso il Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università degli studi di Milano.

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