Professioni sanitarie orfane di un dio minore. di Saverio Proia

La bozza del Patto per la Salute per quanto attiene alla questione delle risorse umane rivela delle novità, che non sono positive, sostiene Proia, per tutti i professionisti della sanità, dedicando per la quasi totalità degli interventi alla questione medica, come unica ed esclusiva emergenza professionale.

La bozza del Patto per la Salute in corso di definizione tra Stato e Regioni messa a paragone con quella del Patto per la Salute 2014/2017 per quanto attiene alla questione delle risorse umane rivela delle novità.

La prima questione è data dal fatto che l’articolo 22 “Gestione e sviluppo delle risorse umane” partiva dal presupposto che “ al fine di garantire la nuova organizzazione dei servizi sanitari regionali, con particolare riferimento alla riorganizzazione delle rete ospedaliera, ai servizi territoriali e le relative forme di integrazione, alla promozione della salute e alla presa in carico della cronicità e delle non autosufficienze e di garantire un collegamento alla più ampia riforma della Pubblica Amministrazione, si conviene sulla necessità di valorizzare le risorse umane del Servizio Sanitario Nazionale e di favorire l’integrazione multidisciplinare delle professioni sanitarie e i processi di riorganizzazione dei servizi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” .

Si precisava inoltre che “si conviene, per l’attuazione di quanto previsto al comma 1, di procedere ad innovare l’accesso delle professioni sanitarie al Servizio Sanitario Nazionale, nonché a ridisciplinare la formazione di base e specialistica, lo sviluppo professionale di carriera con l’introduzione di misure volte ad assicurare una maggiore flessibilità nei processi di gestione delle attività professionali e nell’utilizzo del personale nell’ambito dell’organizzazione aziendale”.

Purtroppo si affidava la soluzione ad un tavolo che non concluse mai i suoi lavori: “al fine di realizzare le finalità di cui ai precedenti commi, si conviene che il Governo e le Regioni istituiscono apposito Tavolo politico per individuare, anche alla luce di esperienze di altri paesi UE, specifiche soluzioni normative. ll Tavolo concluderà i lavori entro il 31 ottobre 2014 e si concluderà con la definizione di un disegno di legge delega che dovrà specificamente dettare principi e criteri direttivi in ordine a:

  1. valorizzazione delle risorse umane del Servizio Sanitario Nazionale, per favorire l’integrazione multidisciplinare delle professioni sanitarie e i processi di riorganizzazione dei servizi, senza nuovi maggiori oneri a carico della finanza pubblica;
  2. accesso delle professioni sanitarie al Servizio Sanitario Nazionale;
  3. disciplina della formazione di base e specialistica per il personale dipendente e convenzionato;
  4. disciplina dello sviluppo professionale di carriera con l’introduzione di misure volte ad assicurare una maggiore flessibilità nei processi di gestione delle attività professionali e nell’utilizzo del personale nell’ambito dell’organizzazione aziendale;
  5. introduzione di standards di personale per livello di assistenza, anche attraverso la valorizzazione delle iniziative promosse a livello comunitario, ai fini di determinare il fabbisogno dei professionisti sanitari a livello nazionale; omissis

Al di là del fallito tavolo Stato-Regioni, lo spirito della norma era l’interprofessionalità,,   sulla scia della legge Gelli e della Legge 3/18 di Riforma di tutti gli ordini delle professioni sanitarie era onnicomprensiva dell’insieme delle professioni sanitarie considerandole tutte, nessuna esclusa, destinatarie di processi di riforma ordinamentale e formativa al pari ed in un unico ed unitario provvedimento: cioè il tutto non è la somma delle parti

Somma delle parti che invece si realizza nella bozza del Patto per la salute 2019 laddove delinea che:

“Art 5 – Risorse Umane Bozza di articolato

Le risorse umane sono la prima leva per garantire l’appropriata erogazione dei LEA e la sicurezza e la qualità delle cure. Governo e Regioni convengono sulla necessità di procedere alla definizione di una metodologia condivisa per la determinazione del reale fabbisogno di personale degli enti del Servizio Sanitario Nazionale, a partire dal modello già elaborato dal Ministero della Salute e dalle Regioni, in coerenza con gli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale e regionale, anche ai fini dell’incremento del limite di spesa del personale di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2019, n. 35.

 Tale metodologia dovrà tenere conto di quanto già previsto in materia di definizione dei piani triennali dei fabbisogni di personale, ai sensi del comma 2 dell’art. 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e s.m. e dai relativi provvedimenti applicativi.

Dei fabbisogni di personale, come sopra definiti, si dovrà tenere conto nella determinazione dei fabbisogni formativi dei professionisti del sistema sanitario, anche eventualmente adeguando e ammodernando l’attuale cornice regolatoria.

Governo e Regioni convengono sulla esigenza di valorizzare, già a legislazione vigente, il ruolo dello specializzando all’interno delle strutture, riconoscendo innanzitutto come recentemente chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza 5 dicembre 2018, n. 249, che il medico in formazione specialistica può svolgere, con progressiva attribuzione di autonomia e responsabilità, specifici compiti che gli sono stati affidati tenendo conto degli indirizzi e delle valutazioni espressi dal Consiglio della scuola.

Convengono inoltre sulla necessità di prevedere interventi orientati alla revisione del sistema di formazione dei medici specialisti, prevedendo per gli specializzandi la possibilità, dopo un congruo periodo di formazione, di proseguire il percorso presso una struttura sanitaria regionale pubblica facente parte della rete formativa, accreditata ai sensi dell’art. 43 del d.lgs. 368/1999. In quest’ultimo caso lo specializzando sottoscriverà un contratto di formazione-lavoro, con oneri a carico della Regione, per lo svolgimento di attività assistenziali, coerenti con il livello di competenze e autonomia raggiunte, certificate congiuntamente dalla scuola di specializzazione e dai dirigenti responsabili delle strutture operative complesse presso le quali lo specializzando ha svolto le attività pratiche professionalizzanti.

Con specifiche intese tra le Regioni e Province autonome e le Università interessate sono definite le modalità di svolgimento, a tempo parziale, della formazione specialistica e le modalità di svolgimento delle attività formative teoriche e pratiche previste dagli ordinamenti e regolamenti didattici della scuola di specializzazione. In ogni caso la formazione teorica compete alle Università, mentre la formazione pratica è svolta presso l’azienda sanitaria o l’ente d’inquadramento. Resta fermo che il titolo di specialista sarà rilasciato dall’Università.

Al contempo si conviene sulla necessità che il Governo assuma iniziative normative straordinarie e urgenti per la risoluzione della situazione emergenziale di carenza di medici specialisti in organico nel SSN determinatasi, con particolare riferimento ad alcune discipline, in parte dalla carenza di specialisti, in parte dalla mancata o molto limitata partecipazione alle procedure concorsuali.

Stato e Regioni convengono sulla necessità di prevedere, la possibilità per i medici di accedere al Servizio Sanitario Nazionale, oltre che con il diploma di specializzazione, anche con la laurea e l’abilitazione all’esercizio professionale, prevedendo l’utilizzo di tali professionisti all’interno delle reti assistenziali, per lo svolgimento di funzioni non specialistiche.

Per quanto riguarda le professioni infermieristiche, ostetriche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, Governo e Regioni si impegnano a garantire la valorizzazione e lo sviluppo delle relative competenze professionali, tenendo conto dei livelli della formazione acquisita, in coerenza con quanto previsto nei Contratti Collettivi Nazionali di settore relativamente al conferimento degli incarichi professionali.

Al fine di far fronte ai nuovi bisogni di salute derivanti dall’aumento delle patologie croniche e dei quadri complessi pluripatologici, Governo e Regioni convengono sulla necessità di dare piena attuazione ai modelli di riorganizzazione dei servizi territoriali (AFT e UCCP) assicurando una rete territoriale, multi-professionale e multidisciplinare integrata, con sede unica o con sedi diverse collegate funzionalmente di cui facciano parte medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali, biologi, psicologi, infermieri, fisioterapisti, etc., con il compito di effettuare una reale presa in carico del paziente, interagendo con le strutture ospedaliere attraverso percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) concordati e condivisi. A tal fine potranno essere di supporto anche gli strumenti innovativi collegati alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT).

Governo e Regioni concordano sulla necessità di una revisione dei contenuti del corso di formazione specifica in medicina generale, in ragione dei mutati scenari sanitari e sociali, e condividono di procedere, tenuto conto anche di quanto previsto dall’articolo 26 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, alla definizione degli obiettivi didattici, delle metodologie di insegnamento e apprendimento nonché dei programmi delle attività, al fine di realizzare sul territorio nazionale una formazione che, pur tenendo conto delle specificità territoriali, assicuri un set minimo omogeneo di requisiti formativi quali-quantitativi, ritenuti indispensabili a garantire livelli uniformi di assistenza”.

Come si vede la differenza fondamentale è data dall’assenza di una visione dell’insieme dell’integrazione e della pari valorizzazione professionale dedicando per la quasi totalità dell’articolo alla questione medica, come unica ed esclusiva emergenza professionale.

A parte la novità contenuta nel decreto Calabria, tra breve legge, dell’assunzione dei soli medici e veterinari specializzandi all’ultimo anno di corso, due figure peraltro caratterizzate da due tipologie del tutto diverse e non paragonabili di formazione specialistica, i restanti provvedimenti sono iure condendo e speriamo che non facciano la fine del precedente Patto per la Salute.

La proposta di articolo,  divenendo, quindi la somma delle parti aumenta le distanze tra la dirigenza medica e veterinaria e la dirigenza delle professioni sanitarie di farmacista, biologo, chimico, fisico e psicologo che pur nel dlgs 502/92 hanno una identità di status e di requisiti di formazione per l’accesso ed unico contratto nella dipendenza e ACN per la specialistica ambulatoriale, oltre che corsi di specializzazione ordinati in modo uguale a quelli dei medici.

Infatti per svolgere l’attività professionale del SSN sia con il rapporto di lavoro dipendente che con quello convenzionato viene chiesto a medici, veterinari, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi il medesimo requisito della specifica specializzazione post – laurea che solo per i medici ha un percorso di studi retribuito con borse di studio, mentre per le altre professioni è a carico del professionista, di norma a carico delle famiglie (talora con costi onerosi, basti pensare al costo di specializzazione degli psicologi), pur avendo i medesimi obblighi nello studio teorico e nel tirocinio pratico, con l’assurdo che nelle specializzazioni con doppio accesso medico e biologo, per esempio, uno è retribuito e l’altro no.

Anche se una legge la 401 del 2001 prevedeva il finanziamento di borse di studio tra le professioni sanitarie nelle specializzazioni, in realtà essa fu disattesa da tutti i governi sino a che con l’emanazione dei decreti di riordino delle scuole di specializzazione di queste professioni si decise di rinviarne l’attuazione ad un suo riordino.

E quale occasione migliore sarebbe dovuto essere se non quella del Patto per la Salute per dar corso a questo riordino superando la discriminazione incostituzionale nei confronti degli specializzandi veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici e biologi ?

Inoltre se è vero che vi è carenza di medici specialisti, non di medici senza specializzazione, che sono migliaia e ai quali in parte larga è ancora negato un futuro nel SSN, il venir meno per pensionamento degli altri professionisti sanitari è di gran lunga in percentuale più elevata della componente medica e destinata ad aumentare per le ristrettissime occasioni di nuove assunzioni attivate dalle Aziende Sanitarie.

Fermo restando che, personalmente non solo sono favorevole all’attivazione di un vero e proprio contratto di formazione-lavoro per i medici specialisti, compresi quelli di medicina generale, propedeutici all’ingresso nel SSN nella dipendenza o nel convenzionamento, anzi sogno ancora le “Scuole di Sanità Pubblica” profetizzate da Giovanni Berlinguer e Ferdinando Di Iorio,  non è più sopportabile questa discriminazione all’interno delle professioni sanitarie nell’ordinamento delle specializzazioni post laurea, che non ha alcuna base normativa, ordinamentale, formativa e contrattuale…è sempre la stessa storia di una P.A. forte con i deboli e debole con i forti.

Altro che figli di un dio minore questi sono gli “orfani” di un dio minore.

Invece Stato e Regioni dovrebbero avviare un processo di discontinuità sin dal prossimo Patto per la Salute avviando una stagione di eguali diritti a chi ha già eguali doveri ovvero tutti gli specializzandi sanitari…eccetto i medici…

Saverio Proia

 

 

 

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