Il virus, l’emergenza, la crisi: lo Stato e un progetto per un’altra economia. di Colin Crouch

Con la crisi si rischia la tentazione nazionalista. Al contrario bisogna costruire uno Stato che aiuti l’innovazione, un’economia verde, un rinnovamento dei beni collettivi come i servizi pubblici.

La crisi del coronavirus ci sta portando a uno di quei momenti storici irripetibili in cui è impossibile “tornare” a un passato familiare, benché recente, e dobbiamo cambiare. Troppe imprese, troppi posti di lavoro vengono distrutti. Abbiamo imparato molto sulla competenza e l’adeguatezza delle nostre istituzioni. C’è un vuoto al cuore di tante economie nazionali e qualcosa deve sempre riempire i vuoti. Che cosa li riempirà? Una svolta verso una società con importanti beni collettivi, la cooperazione interna delle e tra le nazioni, iniziative verso un’economia innovativa e verde, una nuova pressione verso l’uguaglianza sociale? Oppure un rilancio della xenofobia e della ostilità tra le genti, una “società di mercato” degradato e smodato? Benché tutto stia cambiando, le forze politiche, che formeranno il mondo dopo la pandemia, sono le stesse del “vecchio mondo”: per il primo scenario socialdemocratici, egalitari, e verdi; per il secondo neoliberali e nazionalisti. Tutti possono alimentare i loro progetti nell’esperienza della crisi. La proposta di Archibugi, Pennacchi e Reviglio suggerisce un protagonismo rilevante per il primo scenario. Questa è una possibilità potente, ma innanzitutto dobbiamo capire la forza dello scenario antagonista.

Nonostante neoliberali e nazionalisti siano nemici a molti livelli, possono presentarsi insieme con una ricetta per l’uscita della crisi. Tale ricetta sostiene che il virus ci ha mostrato che nazioni individuali debbono combattere da sole: le malattie provengono dall’estero; le frontiere nazionali sono importantissime; le scienze mediche debbono lavorare per il popolo della nazione. Non si vuole la cooperazione europea. La ricetta dice anche che la priorità della ripresa economica comporta abbattere tutte le restrizioni: sulle condizioni di lavoro e di sicurezza, sull’inquinamento, sulle regole per la costruzione degli edifici. Non mancheranno i sostenitori di un progetto neoliberale-nazionalista di questo tipo. Ma esso ci condurrebbe in una direzione disastrosa, a un mondo dell’ostilità e a una corsa verso il basso, senza le innovazioni che potrebbero dare vita a un’economia che può salvare e non rovinare il pianeta. Per un Paese come l’Italia, il cui passato economico recente è una storia di mancanza dell’innovazione e delle iniziative orientate verso il futuro, sarebbe un doppio disastro.

L’alternativa, come nel progetto di Archibugi, Pennacchi e Reviglio, promette una società dove lo Stato aiuta l’innovazione, usando il vuoto per incoraggiare attività di elevato valore. È qui, particolarmente in quelle per la nuova economia verde e non nelle industrie tradizionali, che si troverà un futuro per le economie più avanzate. Paesi che usano il vuoto per creare spazi in cui tali innovazioni possano fiorire avranno molti vantaggi. L’Italia ha bisogno di quest’occasione. Invece di un appello al nazionalismo, abbiamo bisogno di un nuovo egalitarismo, un rinnovamento del ruolo dei beni collettivi. Con la crisi del virus abbiamo tutti appreso l’importanza dei servizi pubblici: il mercato privato non può guidare una società durante una crisi tanto universale e generalizzata. Abbiamo visto il valore della cooperazione, sia al livello della società civile locale e dei nostri vicini, sia al livello globale, in particolare per quel che riguarda le scienze mediche. Abbiamo visto anche il ruolo fondamentale dei lavoratori nei servizi pubblici e anche in altri settori, lavoratori che continuavano a lavorare per noi a gran rischio personale, pur normalmente guadagnando poco. Se terremo a mente tali cose, questo momento storico può portarci riforme importantissime.

Un aspetto particolarmente crudele del Covid-19 è stato la distruzione di posti di lavoro nei servizi personali. Questi settori sono oggi molto importante nell’economia postindustriale e globalizzata, perché evitano la concorrenza internazionale (Nessuno va fino a Pechino per farsi tagliare i capelli). Ma è la stessa importanza dei rapporti personali tra lavoratori e clienti che rovina questi settori quando arriva una malattia che richiede l’assenza di contatti personali. Dobbiamo aspettarci un grandissimo cambiamento nei tipi di lavoro nella società post-virus. Il lavoro di molte persone diventerà precario – una tendenza già in avanzamento prima del Covid-19. Ci sarà bisogno di creare lavoro in nuovi settori, cosa che solo lo stato può incoraggiare, e ci sarà bisogno anche di una politica sociale generosa per fronteggiare gli anni difficili che ci aspettano. Un popolo che abita un mondo d’incertezza economica non può esprimere consumatori fiduciosi. E senza tali consumatori non ci sarà ripresa. È vitale che progetti come quello di Archibugi, Pennacchi e Reviglio si impongano in questo momento storico, il cui vuoto contiene entrambi: grandi pericoli e grandi occasioni.

Colin Crouch è un sociologo e politologo britannico

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