Luoghi comuni e pregiudizi strumentali sulla condizione degli anziani (RPS 1/2021). di Giovanna Del Giudice e Nerina Dirindin

  1. Contro la drammatizzazione dell’invecchiamento della popolazione

Pensiamoci bene. È da decenni che sentiamo parlare dell’invecchiamento della popolazione come dell’origine di tutti i mali del nostro welfare e della insostenibilità del sistema pubblico di tutela della salute. Siamo talmente abituati a saggi o interventi che iniziano illustrando con toni drammatici i dati sull’invecchiamento della popolazione che abbiamo perso la capacità di porci una domanda molto semplice: perché una conquista sociale come l’aumento della durata della vita è considerata un male? Eppure, l’alternativa all’invecchiamento – la morte prima di raggiungere gli anni della vecchiaia – non sembra essere preferita da nessuno.

Come è possibile che una grande conquista dell’umanità (per lo meno nei paesi sviluppati) sia diventata un problema? Certo, non si può negare che l’aumento della speranza di vita implichi un’importante revisione delle politiche previdenziali. Così come l’aumento degli anziani comporta una rimodulazione dell’offerta assistenziale e sanitaria, oltre che innovazioni culturali e sociali. Ma i cambiamenti sono l’essenza dello sviluppo, umano ed economico. L’importante è non restare immobili davanti ai mutamenti. E invece il nostro sistema di welfare non si è ancora impegnato ad affrontare seriamente i cambiamenti che l’allungamento della durata della vita richiede, a partire dalla lenta ma progressiva perdita di autosufficienza delle persone anziane. Ci siamo limitati a drammatizzare l’invecchiamento, ma non abbiamo dato priorità agli interventi necessari per renderlo meno drammatico. Al contrario lo abbiamo utilizzato (strumentalmente) per avvalorare la tesi della insostenibilità del servizio sanitario nazionale e, più in generale, del welfare pubblico. Tutto ciò non è avvenuto per caso. Ricorrere a un fattore esogeno, come l’evoluzione demografica, per giustificare difficoltà che dipendono in gran parte da scelte inadeguate è un’abile strategia per distogliere l’attenzione dalle vere cause delle difficoltà. Il problema infatti non è l’invecchiamento in sé, ma la nostra incapacità di affrontarlo compiutamente. La riflessione si sposta quindi sulle ragioni che hanno favorito scelte inadeguate, spesso insipienti. Nel dibattito corrente, le risposte fanno per lo più riferimento alla pesante situazione dei conti pubblici, ma in realtà esse vanno ricercate nella egemonia incontrastata di quella cultura neo liberista che negli ultimi decenni non ha mai sprecato una buona scusa (la crisi del 2008-2009, i cambiamenti demografici, le regole dell’Europa) per indebolire il welfare pubblico e favorire il privato for profit (Dirindin, 2016).

Non abbiamo affrontato il tema dell’invecchiamento perché abbiamo dato priorità ad altri obiettivi. Ciò è successo perché abbiamo aderito acriticamente a una cultura pervasiva e trasversale che considera gli anziani un peso, un intralcio all’efficienza dei sistemi produttivi (per la loro minore produttività), un onere a carico delle generazioni attive (su cui grava il finanziamento degli interventi per la vecchiaia) e un motivo di preoccupazione per il crescente lavoro di cura (attenuato solo con il ricovero in residenze). Una cultura che ha lentamente inquinato anche i comportamenti delle famiglie, nonostante nel nostro Paese sia ancora forte il senso di gratitudine e di rispetto nei confronti degli anziani, anche per l’aiuto concreto che garantiscono a figli e nipoti (1). Una cultura che ha giustificato la permanenza delle donne fuori dal mercato del lavoro formale, perché ritenute necessarie all’interno della famiglia (in assenza di un welfare adeguato). Fa parte di questa cultura anche l’idea di favorire il riconoscimento economico del lavoro di cura svolto a favore dei familiari, idea spesso presentata come unica (e importante) innovazione sociale ma che testimonia la tendenza ad affrontare i problemi solo attraverso erogazioni monetarie (contributi ai caregiver, vouchers per l’acquisto di prestazioni) (2), ignorare le opzioni che potrebbero rendere «effettivo» il diritto al lavoro anche per le donne (il potenziamento dei servizi socio-sanitari) o addirittura sfiorare delicate questioni etiche come il dovere di solidarietà all’interno dei nuclei familiari

  1. Una società si giudica da come sono trattati gli anziani

Le persone anziane sono una risorsa. Garantiscono alle famiglie e alle comunità la continuità tra passato, presente e futuro, alimentano le radici che identificano e danno senso alla vita delle comunità e testimoniano la storia che hanno vissuto affinché chiunque possa far tesoro del passato per agire nel futuro. Sono risorsa per le nuove generazioni, per i bambini e per i loro genitori che possono contare sulla loro esperienza e su un loro costante sostegno. Papa Francesco ha pronunciato parole chiare sugli anziani (3): «Una cultura del profitto insiste nel far apparire i vecchi come un peso, una zavorra. Non solo non producono, ma sono un onere: in somma, vanno scartati. […] Non si osa dirlo apertamente, ma lo si fa! C’è qualcosa di vile in questa assuefazione alla cultura dello scarto. […] Vogliamo rimuovere la nostra accresciuta paura della debolezza e della vulnerabilità; ma così facendo aumentiamo negli anziani l’angoscia di essere mal sopportati e abbandonati».

E ancora: «La qualità di una società, vorrei dire di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune».

Il sistema di welfare ha molto da riflettere su tali parole.

Ogni operatore della sanità e del sociale, a partire da chi ha maggiori responsabilità decisionali, deve farsi carico di testimoniare quotidianamente, con comportamenti e atti, che il rispetto della dignità della persona, alla base del nostro welfare, non è solo una bella enunciazione ma è profondamente radicato nella cultura e nella formazione dei professionisti del welfare. Parliamo del rispetto della dignità di tutte le persone, non solamente di quelle efficienti, produttive e autosufficienti. Ma non è solo una questione di responsabilità individuale. È innanzi tutto una questione di politiche pubbliche, di scelte di priorità, di allocazione delle risorse, di programmazione dei servizi. Il settore privato … leggi l’articolo completo su RPS

1 Si veda in proposito in questo numero il contributo di Maria Cozzolino, Romina Fraboni e Linda Laura Sabbadini.

2 Il welfare italiano è caratterizzato a livello internazionale per un eccesso di erogazioni monetarie e una carenza di servizi, in particolare nel settore sociale (Oecd, 2019b).

3 Le parole sono state pronunciate da papa Francesco nell’udienza generale del 4 marzo 2015, disponibile all’indirizzo internet: http://www.vatican.va/content/ francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150304_udienzagenerale.html.

fonte: RPS La Rivista delle Politiche Sociali

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