Diagnostica di 1° livello dai Medici di famiglia e dai Pediatri nelle Case di Comunità, arrivano le risorse ma ancora non ci siamo. di Giorgio Cerquetani

Ci son voluti quasi tre anni (per l’esattezza 2 anni e 9 mesi), per emanare il decreto ministeriale attuativo di riparto dei 235 milioni alle Regioni, previsto dalla Legge 160/2019, per l’acquisto delle apparecchiature per l’effettuazione della diagnostica di 1° livello (Elettrocardiogramma, spirometria, ecografia….) da parte dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera,

Quello che colpisce è come un’idea intelligente e pragmatica, per certi versi anticipatrice di una diversa organizzazione dell’assistenza territoriale così come prevista dal PNRR, per vedere la luce debba impiegare tutto questo tempo.

E’ ancora non è finita.

Pazienti fragili con patologie croniche dovranno attendere ancora mesi per poter effettuare dal proprio medico di medicina generale quelle prestazioni diagnostiche, a corredo della patologia, che oggi effettuano presso altre strutture sanitarie con lunghe liste di attesa.

Infatti nel decreto è prevista l’istituzione di un tavolo tecnico congiunto Ministero e Regioni che dovrà, entro 90 gg. (3 mesi) dall’entrata in vigore del presente decreto, licenziare un documento contenente tra l’altro le modalità di rilevazione dell’attività erogata, indicatori di processo e di risultato.

Poi le Regioni dovranno entro 90 gg. (ulteriori 3 mesi) dal termine dei lavori del tavolo tecnico presentare un piano pluriennale dei fabbisogni per l’utilizzo, anche parziale, delle risorse assegnate.

E’ solo dopo l’approvazione del piano dei fabbisogni da parte del Ministero (e siamo già a 6 mesi) che le Regioni potranno procedere con le richieste di ammissione al finanziamento degli interventi.

Come se non bastasse le Regioni, sulla base degli obiettivi di salute prefissati e dei modelli organizzativi presenti, dovranno provvedere alla stipula di appositi contratti integrativi regionali con i MMG e PLS per definire le modalità operative di questa attività, in quanto non prevista dalla Convenzione Nazionale (ACN) che regola il loro rapporto di lavoro con il SSN.

Non vi è dubbio che serva programmare e monitorare attentamente l’uso delle risorse, ma un iter burocratico di circa quattro anni, per l’introduzione di un’attività (non particolarmente complessa) all’interno del SSN, non solo ha dell’incredibile ma è anche il segnale di un sistema malato che mina le basi di quella che dovrebbe essere una sanità pubblica, universale, vicina alle esigenze dei cittadini, al passo con i tempi e con le innovazioni tecnologiche.

Non c’è riforma che tenga, per il miglioramento e la sostenibilità del SSN, se non si riesce ad eliminare quelle procedure obsolete che impediscono di rendere operative, in tempi certi e rapidi, azioni innovative come questa con la quale si migliora la vita di milioni di pazienti e contestualmente si dà un notevole contributo al contenimento delle liste di attesa.

Giorgio Cerquetani
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