Chi era Franco Basaglia, l’uomo che abbatté i muri dei manicomi e del potere. di Franco Corleone

Fu contrastato dalle baronie universitarie e dai sapientoni della psichiatria tradizionale. Basagliani, venivano additati coloro mettevano al centro la persona e non la malattia.


Cento anni fa nacque Franco Basaglia ed è una occasione per tante celebrazioni che devono però evitare la retorica della costruzione di un santino accettato da tutti.

Perché non è stato così nella realtà, infatti Basaglia fu contrastato dalle baronie universitarie e dai sapientoni della psichiatria tradizionale e fu messo sul banco degli accusati dalla giustizia.

Addirittura il suo nome fu usato per insultare il gruppo che si era creato attorno alla sua figura: i basagliani, un neologismo da usare come una clava contro chi metteva al centro della attenzione e della attività terapeutica la persona e non la malattia.

La legge 180 con il titolo su “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” fu identificata con il nome di Basaglia, così la “legge Basaglia” fu un comodo e facile bersaglio delle polemiche di chi non sopportava che l’istituzione totale per eccellenza, il manicomio fosse chiuso.

Nessuno ricorda che l’elaborazione in Parlamento di quella legge vide protagonista Bruno Orsini, psichiatra e autorevole esponente della Democrazia Cristiana e che l’approvazione avvenne il 13 maggio 1978, pochi giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, assassinato in esecuzione di una sentenza di morte di un sedicente tribunale del popolo.

Un giusto seppure paradossale tributo all’autore del mirabile articolo 32 della Costituzione che definisce fondamentale il diritto alla salute e prescrive il divieto di obbligo di trattamenti sanitari e il precetto che non si possono violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Dieci giorni dopo il Parlamento approvava la legge 194 per l’interruzione volontaria della gravidanza.

Pare incredibile che la politica fosse capace di rispondere a una tragedia sconvolgente con due leggi simbolo dei diritti civili e sociali: manicomi e aborto.

Quella decisione fu determinata anche dalla raccolta di firme per un referendum promosso dai radicali, a testimonianza di una alleanza virtuosa tra la spinta popolare e le istituzioni per una grande riforma.

Un silenzio assordante copre anche le lezioni di Moro all’Università di Roma nel 1976 sul senso della pena con espressioni limpide contro la pena di morte e con motivazioni taglienti contro l’ergastolo.

Una censura davvero imbarazzante che abbiamo cercato di rompere con la pubblicazione di quei saggi teorici nel volume Contro gli ergastoli, curato da me con Stefano Anastasia e Andrea Pugiotto.

L’avventura di Basaglia in uno dei luoghi dell’internamento per gli alienati iniziò nel 1961 a Gorizia, piccola città di confine del Friuli Venezia Giulia, legata alle tragedie della Grande guerra (nota la canzone antimilitarista “O Gorizia tu sei maledetta” cantata da Giovanna Marini) e della seconda guerra mondiale con violenze prima fasciste e poi iugoslave.

Libero docente in psichiatria all’Università di Padova dirige per dieci anni l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario con una équipe di giovani collaboratori coinvolti in un esperimento per aprire il manicomio e abbattere i muri fisici e simbolici.

Il celebre volume L’Istituzione negata edito nel 1968 da Einaudi assunse il carattere di un manifesto contro la violenza del potere, della messa in discussione della psichiatria positivista e organicista e dell’internamento di tanti esclusi.

Si trattava di un Rapporto su una esperienza vissuta tra assemblee e confronti tra pazienti, medici e infermieri arricchito da saggi teorici che mettevano in discussione l’immagine banale della follia, la concezione della “pericolosità” del matto e contestavano il controllo sociale dei devianti.

E’ giusto ricordare alcuni dei nomi degli autori da Nino Vascon a Letizia Jervis Comba, da Antonio Slavich ad Agostino Pirella, da Domenico Casagrande a Giovanni Jervis, da Lucio Schittar a Franca Ongaro Basaglia.

Il ruolo essenziale della compagna di Basaglia sarà ricordato sicuramente l’anno prossimo in occasione dei venti anni dalla sua scomparsa. Una critica del potere che si diffuse in tutto il Paese: il sessantotto fu anche questo.

L’avventura proseguì a Trieste facendo assurgere a simbolo di liberazione la città colta di Svevo, di Stuparich e di Umberto Saba che aveva accolto Rilke e James Joyce.

Si verificò una significativa e ricca collaborazione con la città di Parma dove il mitico assessore Mario Tommasini schierava l’Amministrazione Provinciale nella lotta contro tutte le istituzioni totali dai brefotrofi al manicomio di Colorno.

A conclusione di un convegno con la partecipazione del Gruppo di Gorizia fu pubblicato nel 1967 un volume che raccoglieva le riflessioni di quegli psichiatri intitolato: Che cos’è la psichiatria?, con in copertina un disegno di Hugo Pratt che richiamava le etichette del malato mentale a cominciare da quella della legge del 1904 “Pericoloso a sé e agli altri e di pubblico scandalo” e altre emblematiche come “Reparto agitati alta sorveglianza” e “Reparto cronici”.

Mi piace sottolineare il ruolo dell’arte anche in questa occasione per enfatizzare la consapevolezza delle persone sensibili. La Società della Ragione nel 2014 di fronte ai ritardi nella chiusura degli Opg, gli orrendi manicomi giudiziari, organizzò una mostra di disegni di Roberto Sambonet “I volti dell’alienazione”, realizzati negli anni Cinquanta dopo la lunga visita dentro il manicomio di Juqueri in Brasile che ospitava 15.000 persone, a dimostrazione che un artista aveva colto prima di Goffman, Foucault e lo stesso Basaglia le condizioni disumane di quei non-luoghi, di totale internamento, gulag o lager, “per misure coercitive a scopo assistenziale”.

Un altro libro che fece scandalo fu Morire di classe, La condizione manicomiale, fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin (edito nel 1969 da Einaudi).

Il miracolo di Basaglia e del suo gruppo, un collettivo ricco di intelligenze con inevitabili rotture e lacerazioni, fu quello di costruire una egemonia politica e culturale dal basso, sconfiggendo parrucconi e sepolcri imbiancati.

Molte energie furono spese per immaginare un modello di Comunità terapeutica che costruisse una alternativa al manicomio e la spinta al cambiamento divenne inarrestabile.

Basaglia morì nel 1980 e non vide la realizzazione del sogno che dovette attendere il 1998, venti anni dopo per la chiusura dei tanti manicomi ancora aperti, ridotti a contenitori del cosiddetto residuo manicomiale. Una espressione profondamente cinica.

Da allora non ci si è fermati e finalmente nel 2017 si chiusero i sei Opg che contenevano 906 persone, un grumo che la legge 180 non aveva affrontato. La rivoluzione era così compiuta. La reazione non si è arresa e oggi viviamo tempi bui e oscuri con tentazioni di regime.

Il pensiero di Basaglia può aiutare a battere la nostalgia del manicomio che si manifesta di fronte alla difficile condizione del carcere e delle città.

Franco Rotelli che raccolse il testimone di Basaglia a Trieste, ha lasciato preziose suggestioni in un dialogo con Giovanna Gallio e Benedetto Saraceno l’8 marzo 2023, pochi giorni prima della sua scomparsa, sulle contraddizioni di oggi senza atteggiamenti consolatori ricordando i bei tempi passati.

Ammoniva a guardare alla salute mentale e non alla psichiatria: “Credo che ci siamo attardati troppo a non fare politiche di salute mentale: vale a dire occuparsi un po’ di meno della psichiatria e dei servizi psichiatrici e cercare molti più alleati tra gli artisti, tra gli uomini e le donne di cultura, tra gli operai e le operaie, tra gli abitanti delle città e dei quartieri, tra le mamme e le famiglie, tra le associazioni- in altre parole nel mondo della vita”.

Marco Cavallo abbatté il muro del manicomio San Giovanni di Trieste nel 1973, oggi una scultura che ripropone quella memoria è stata inaugurata a Firenze nell’area di San Salvi dal Teatro Chille de la Balanza.

Altri muri devono essere abbattuti, il doppio binario e la non imputabilità del Codice Rocco per dare dignità e responsabilità a tutti senza discriminazione e le misure di sicurezza utilizzate contro trecento detenuti sventurati che dopo avere scontato la pena vengono etichettati come internati in pseudo case lavoro per scontare una pena infinita, un ergastolo bianco. Un oltraggio al diritto e alla Costituzione.

fonte: l’Unità

     Franco Corleone
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