Rivoluzione digitale: quesiti aperti sull’impatto per il diritto alla salute. di Luca De Fiore

I possibili benefici di una trasformazione digitale della sanità sono sotto gli occhi di tutti, anche per l’incessante narrativa di un futuro migliore per i cittadini, i malati e le famiglie. Potremo prevedere le malattie di cui soffriremo, controllare costantemente i nostri valori ematochimici, essere seguiti anche a lunga distanza da un medico molto competente, disporre di strumenti (oggi le app e domani chissà) che ci aiuteranno nella vita quotidiana, fare affidamento su robot che limiteranno i disagi dovuti alla nostra non autosufficienza e molto altro ancora.

Nel clima attuale di grande aspettativa, poco importa se le malattie alle quali scopriremo di essere destinati non hanno una cura, se il monitoraggio continuo della nostra salute potrebbe portare a una medicalizzazione ossessiva del quotidiano e a un eccesso di sovradiagnosi [1], se le tecnologie potrebbero fare più male che bene [2], se il controllo remoto della nostra salute sarà affidato a una macchina istruita attraverso un imperfetto machine learning o se il robot avrà soppiantato la relazione umana del caregiver capace di quell’empatia senza la quale qualsiasi esistenza difficilmente vale la pena di essere vissuta. La nuova normativa tedesca sulla rimborsabilità delle cosiddette terapie digitali prevede che vengano rimborsate dalle assicurazioni dopo una valutazione di rispondenza a standard di sicurezza e non di efficacia. In altre parole, i cittadini accettano di sostenere il costo di una tecnologia a prescindere dalla sua utilità. Si tratta di un’apertura di credito importante: “apertura di credito” nel vero senso della parola.

Perché uno dei principali obiettivi dichiarati è proprio quello di incentivare lo sviluppo economico, premiando aziende e startup che stanno impegnandosi in questo settore. Dopo un anno dall’introduzione sul mercato, l’agenzia regolatoria dovrebbe confermare la rimborsabilità solo alle tecnologie che avessero provato la propria efficacia.

Non mancano gli interrogativi. Attualmente, nell’Apple store sono presenti oltre 300 mila app che si propongono come strumenti per migliorare benessere o salute o per gestire la propria malattia [3]. Quale ente regolatorio potrebbe candidarsi alla valutazione di un numero così ampio di proposte? Ancora: nel Regno Unito, il National institute for health and care excellence (Nice) – d’intesa con il Nhs England e con il Nhs Digital – ha prodotto delle linee guida che spiegano ai produttori il tipo e la qualità delle prove che potranno motivare la rimborsabilità delle tecnologie digitali. C’è sufficiente chiarezza sulla necessità di disegnare e condurre sperimentazioni controllate randomizzate per valutare le terapie digitali o ci si accontenterà della real world evidence che scaturirà dall’uso delle app?

Finché non “romperai” niente, significa che non ti stai muovendo abbastanza velocemente. — Mark Zuckerberg

Altra domanda riguarda l’arruolamento implicito dei cittadini in studi sperimentali o osservazionali destinati a produrre dati utili ai produttori per perfezionare le tecnologie e rivenderle aggiornate a un maggior costo agli stessi utenti che hanno contribuito a migliorarle. I sistemi sanitari saranno capaci di difendere i diritti dei cittadini nella inevitabile negoziazione con i grandi player del capitalismo della sorveglianza che prospera sulla raccolta delle previsioni dei comportamenti costantemente monitorati degli utenti delle tecnologie [4]? Lo scenario distopico ma realista prospettato da Éric Sadin vede i professionisti sanitari detronizzati da un’industria della medicina che monitora, diagnostica e cura il singolo paziente, eleggendo a setting elettivo la casa del malato [5]. Il delitto perfetto della sanità pubblica: la salute è una questione privata che riguarda il singolo individuo e la sua capacità di monitorare e risolvere personalmente i propri problemi.

Le agenzie regolatorie – ma prima ancora i governi – sono chiamati a una sfida della quale devono conoscere le difficoltà. Primo, dovrebbero avere consapevolezza che l’oggetto sul quale vigilare non è né il dispositivo né il software ma i dati comportamentali e sanitari da essi prodotti e gestiti. Secondo, dovrebbero considerare che l’high tech avanza tre volte più veloce di un business comune, che i governi vanno tre volte più lenti di un business comune e che quindi il gap ammonta a nove volte [6]. Uno sguardo informato e indipendente dai grandi interessi che si muovono dietro la spinta per il cambiamento suggerisce l’opportunità di una trasformazione governata della sanità. Certamente occorrerà far presto, ma quello di fare dei danni è un rischio che non conviene correre se ci sono di mezzo la salute e i diritti dei cittadini.

Bibliografia

[1] Parker L, Bero L, Gillies D, et al. Mental health messages in prominent mental health apps. Ann Fam Med 2018;16:338-42.
[2] Loudin A. Data Catch-22: How tech gadgets for exercise sometimes do more harm than good. Washington Post, 14 dicembre 2019.
[3] Makin S. The emerging world of digital therapeutics. Nature, 25 settembre, 2019.
[4] Zuboff S. Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri. Roma: Luiss 2019.
[5] Sadin É. Critica della ragione artificiale. Una difesa dell’umanità. Roma: Luiss 2019.
[6] Cunningham L. Google’s Eric Schmidt expounds on his Senate testimony. Washington Post, 30 settembre 2011.

fonte: REVOLUTION

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