Pandemia e autismo. Il racconto di una mamma ed un razzo di cartone per immaginare un mondo migliore. di Antonio Esposito

In un razzo di cartone, costruito con Nicole, la sorellina maggiore, e portato in braccio da Francesco, il  papà, si può volare “verso l’infinito e oltre”, e sotto gli occhialoni da pilota, Noemi sorride felice  e sembra davvero viaggiare sopra le nuvole e il cielo, fino alle stelle e ritorno, atterrando dove la fantasia trasforma il viale di casa in una base spaziale, restituendo bellezza anche a questo periodo di pandemia. Il video l’ha condiviso Alba, la mamma di Nicole e Noemi, che, attraverso i post caricati sul suo profilo Facebook, sta raccontando momenti ed esperienze di un particolare lockdown, quello vissuto da una famiglia con una bambina con autismo. Così, pure a centinaia di km di distanza, “abbiamo festeggiato” con Noemi e la sua famiglia i suoi 8 anni, “abbiamo condiviso” l’arrivo di Kobi, il nuovo cagnolino, “ci siamo sorpresi” per l’invenzione “montessoriana” di una  lavagna coi bicchieri per fare le moltiplicazioni e di un cartellone agenda per capire come funzionano l’orologio e il tempo, “abbiamo scoperto” che una merenda può trasformare le mele in coccinelle e “riscoperto” che i “giochi senza frontiere” si possono realizzare con le cose più semplici. Abbiamo anche ascoltato Noemi spiegare agli altri bambini, col programma di scrittura per immagini che l’aiuta nella lettura, che la scuola e la piscina sono chiusi, che non è possibile incontrarsi e abbracciarsi, che si deve restare a casa con la propria famiglia e aspettare che il virus vada via.

«A fronte della diagnosi di autismo grave si prospettava la concreta possibilità che Noemi non riuscisse a verbalizzare, avesse gravi stereotipie ed un bassissimo livello di adattabilità» ci racconta Alba «Oggi, invece, mia figlia non solo verbalizza, ma studia, legge, scrive, ha i suoi amici, altri bambini che hanno imparato a conoscerla e a relazionarsi con lei.  È stato ed è un cammino complesso», ci spiega la mamma di Noemi, raccontandoci dell’importanza di un percorso riabilitativo iniziato presto e basato su un sistema di educazione strutturato volto ad accrescere il portato esperienziale della bambina: Noemi segue il metodo TEACCH, Trattamento ed Educazione dei Bambini Autistici e con Disturbi Correlati della Comunicazione, nato negli anni ’70 in America e costruito su interventi individualizzati realizzati modificando l’ambiente e gli spazi in funzione delle esigenze personali del bambino, in stretta collaborazione con i genitori, puntando a sviluppare e valorizzare le sue autonomie e capacitazioni. Ma anche i terapeuti sono sorpresi dai risultati raggiunti da questa bambina che ha il mare dipinto negli occhi, e forse uno dei segreti è nell’approccio che ha avuto la sua famiglia: «È fondamentale incontrare sempre Noemi e non la sua patologia» ci dice Alba «comprendendo però che non sono questi bambini a dover adeguarsi a noi, ma noi ad andare incontro alle loro esigenze. Non bisogna vergognarsi dell’autismo, nasconderlo, ma cercare nella comunità una condivisione che renda possibile la socializzazione, lo scambio, la relazione».

È nato così, ad esempio, da quando Noemi è all’asilo, il progetto “scuola – casa”Se l’è inventato la mamma: «È venuto fuori in modo semplice, parlando schiettamente con le altre mamme, quindi invitando, due, tre volte a settimana, i bambini a casa, ma solo chi vuole venirci, senza che la cosa diventi in alcun modo costrittiva. Prima uno per volta, oggi anche di più: prendo i bimbi, li porto a casa, fanno merenda, poi giocano e fanno attività guidati dall’educatrice, si divertono, imparano, conoscono e si relazionano con la disabilità. La cosa straordinaria è che ormai si “prenotano” in tanti, mentre le altre mamme organizzano feste a misura di Noemi per poterla invitare. Così lei ha potuto partecipare a compleanni, party di halloween e carnevale. Noemi è parte di una comunità sociale con la quale è cresciuta e che nel suo agire diventa terapeutica».

Naturalmente non mancano le difficoltà, con la necessità, per i genitori, di essere seguiti e supportati in modo professionale: «C’è il rischio continuo di andare in sovraccarico emotivo, ed è fondamentale evitare di farlo arrivare al bambino, che necessita invece di un “setting” chiaro, equilibrato. Per questo è necessario il supporto, anche psicologico, di professionisti» ci dice Alba «Nella realtà, purtroppo, sembra quasi inammissibile che un genitore non sia preparato alla disabilità, e invece nessun genitore conosce prima il percorso che dovrà affrontare. In tanti fanno ricorso a farmaci e metodi contenitivi perché non hanno conosciuto alternative. Purtroppo, il sistema pubblico resta deficitario a garantire validi supporti familiari. Un genitore deve essere messo in condizione di fare il genitore, di non sostituirsi al terapeuta, all’insegnante, ad altre figure. Un bambino ha bisogno di chiarezza dei ruoli».

Questo periodo pandemico ha messo in crisi proprio questa continuità: la chiusura delle scuole, in assenza di un supporto domiciliare, può avere conseguenze molto gravi. In realtà, l’amministrazione del comune emiliano in cui vivono ha dimostrato grande attenzione, mettendo a disposizione, con le dovute salvaguardie sanitarie, un educatore domiciliare. Ma dopo pochi giorni, la cooperativa ha rinunciato al servizio, a fronte dei timori del contagio: «Abbiamo dovuto provvedere privatamente, grazie al supporto di Marika, la bravissima educatrice che da sempre segue Noemi, ed è stato essenziale. Le nostre giornate devono avere una programmazione ben definita, Noemi ha bisogno di una precisa organizzazione del tempo. È profondamente ingiusto che chi, per diverse ragioni, innanzitutto economiche, non ha la possibilità di avere un supporto, si veda addossarsi un peso che può diventare insostenibile. Il lavoro di un educatore, per bimbi come Noemi, ha un enorme valore terapeutico, equivale ad avere una medicina necessaria per chi ha una patologia fisica. Non comprendere questo portato delle disabilità intellettive vuol dire negare dei diritti e creare delle disparità insopportabili».

Anche perché, nonostante lo sforzo degli insegnanti, anche la didattica a distanza è poco strutturata per bambini con disabilità: «Gli insegnanti fanno davvero tutto quel che possono» continua la mamma di Noemi «ma la didattica a distanza, per le modalità con cui è somministrata, con schede da compilare e compiti da fare, si adatta male a bambini con specifiche necessità come quelle di Noemi, Si rischia addirittura un effetto negativo: a fronte della frustrazione di non riuscire a realizzare quanto richiesto, questi bambini, impossibilitati a spiegare la loro difficoltà, possono alzare un muro, iniziando un vero e proprio percorso regressivo. Ogni autismo, chè ciascun autismo è diverso dall’altro, necessita di una chiave personalizzata per accedere alla relazione con i bambini. I percorsi standardizzati della didattica a distanza non possono trovarla».

Il confronto con chi rappresenta le istituzioni non sempre è agevole: «Tanti affrontano questi temi come questioni di lavoro, per noi genitori, invece, sono vitali. Soprattutto, è sempre necessario perseguire una continuità educativa e terapeutica che, se interrotta, crea effetti devastanti. Negare per mesi un’educatrice ad una bambina con autismo avrebbe significato condannarla ad una irrecuperabile regressione. Io ho trovato una soluzione alternativa, ma dovrebbe essere un diritto per tutti». Ecco, ci piace pensare, allora, pure mentre questo Governo continua a dimenticare nei suoi affannosi decreti i bisogni e i desideri di tutti i bambini, che questa pandemia possa essere anche un’occasione, che quel razzo di cartone, con Noemi, potremmo prenderlo tutti, provando a imparare da lei, mentre è seduta nel prato dove l’ha fotografata la sorella, la necessità di immaginare un mondo diverso, migliore, più giusto, di quello che abbiamo fin qui realizzato.

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