Gli spazi comunicano, gli spazi curano. di Lucia Fontanella

Ci hanno insegnato che il primo assioma della teoria della comunicazione “tutto comunica” è in grado anche da solo di portarci molto lontano nel processo di comprensione di ciò che accade ogni giorno nella nostra vita quotidiana.

Se però da un lato l’assioma ci pare molto trasparente e convincente, d’altro lato non è immediato scoprirne tutte le implicazioni.

Concentriamoci dunque, come richiesto,  sugli spazi della cura come fondamentali strumenti di comunicazione.

Potremmo dire e ribadire che sono di grande importanza, che hanno un peso rilevante, che non devono essere trascurati, ma questo mi pare ovvio, e propongo allora di visitare mentalmente spazi sanitari che ci sono consueti, e su cui magari non abbiamo mai riflettuto, per dare concretezza al nostro tema.

Una visita all’ambulatorio

Il primo spazio che vi propongo è quello dell’ambulatorio del vostro medico di base, o di famiglia. Forse vi chiederete come possiamo riflettere insieme su qualcosa di diverso caso per caso. In realtà non è un procedimento difficile se ci accordiamo su alcune domande molto semplici.

  1. Quando aspettiamo di essere ricevuti, guardandoci attorno, ci capita di riflettere sull’ambiente in cui siamo?
  2. Anche se non lo abbiamo mai fatto, ci viene spontaneo arrivare a un giudizio?
  3. Emergono chiari gli elementi che hanno portato al nostro giudizio?
  4. Se osserviamo lo spazio in cui riceve il medico rileviamo le stesse caratteristiche e confermiamo lo stesso giudizio, o ci pare che qualcosa cambi?

Poniamoci ora le stesse domande per gli spazi di un ambulatorio ospedaliero, di una stanza in cui siamo stati ricoverati o in cui siamo stati per visitare un parente o un amico, e poi, con attenzione, visitiamo anche ambienti amministrativi ospedalieri.

Lo scopo di tutto questo è avvicinarci a capire che cosa ci piace e che cosa non ci piace, e dunque che cosa ci aiuta a curarci e che cosa non ci aiuta, perché proprio di questo stiamo parlando.

Io non conosco le vostre risposte, ma conosco le mie e, per mestiere, conosco i risultati degli studi fatti in questo campo, che ci dicono che al di là delle singole differenze, esistono costanti evidenti che ci permetterebbero di arrivare a linee di indirizzo apprezzabili.

In fondo è casa nostra

La più importante di queste costanti, e su questa mi concentro, è la coppia accuratezza/trascuratezza, e uso questi termini proprio perché composti a partire da cura.

Definiamo per brevità e riduttivamente l’accuratezza come mancanza di trascuratezza, e cerchiamo di identificare questa seconda (mi concentro su questa seconda perché in realtà l’accuratezza è qualcosa che migliora una situazione standard accettabile, mentre la trascuratezza non raggiunge il livello accettabile, livello che deve invece essere raggiunto).

La trascuratezza può riguardare molti aspetti ed è spesso legata all’età degli ambienti. Questo non è solo un problema del mondo sanitario: tutti noi, anche a casa nostra, trascuriamo molti particolari che ci circondano, e lo facciamo per abitudine, per inerzia, a volte anche per scelta personale. Ma in fondo è casa nostra!

Negli ambienti destinati a un pubblico non dovrebbe succedere, ma frequentemente vediamo sui muri  quadri, fotografie, manifesti, materiale informativo non solo datato, ma in pessimo stato, riviste in lettura sgualcite e dalla data inquietante. E lo stesso può dirsi degli arredi. Ora, se gli interventi sugli ambienti e spesso anche sugli arredi richiedono  investimenti di un certo peso, quelli citati hanno invece costi contenuti e potrebbero ricevere più attenzione.

Non dovrebbe essere il caso di far notare che, consciamente o inconsciamente, tendiamo ad associare la trascuratezza che vediamo con la possibile trascuratezza della cura sanitaria nei nostri confronti, o, se preferite, tanto più siamo positivamente influenzati da ciò che vediamo, tanto più ci sentiamo in buone mani.

Osserviamo poi che ogni elemento vivo in un ambiente destinato al pubblico ha un potere fortissimo di rendercelo familiare e accogliente, quasi un regalo a noi destinato; ma se è trascurato (pianta non bagnata, o altro) l’impressione di trascuratezza è moltiplicata.

Tendiamo ad associare la trascuratezza che vediamo con la possibile trascuratezza della cura sanitaria nei nostri confronti.

Le strutture più recenti, moderne o modernissime, danno quasi sempre al primo sguardo un’impressione rassicurante. Per lo stesso principio già citato, ambienti e arredi nuovi o non usurati ci fanno pensare ad una struttura efficiente e dunque anche ad una cura efficace.

Ci capita però a volte di doverci trattenere a lungo in questi ambienti, e può capitarci allora di scoprire generi di trascuratezze che una progettazione razionale non dovrebbe contemplare. Carenza di posti a sedere, seggiole senza braccioli, o che tendono a farci scivolare dalla seduta, scomodissime per lunghe attese, o per lunghi periodi di assistenza accanto ai malati, utilizzo di molto metallo piuttosto che di altri materiali più confortevoli, mancanza di prese (ormai sono indispensabili a tutti e ovunque), singolari orientamenti dei posti a sedere rispetto ai monitor, ancora più singolari indicazioni del tipo “non oltrepassare la linea gialla” in totale assenza della linea gialla, o del tipo “suonare” su un pulsante bloccato dallo scotch. Potrei fare molti e molti altri esempi, ma credo siano sufficienti a richiamare alcune delle risposte che vi sarete dati alle mie domande in apertura.

Parrebbero trascuratezze veniali o venialissime, ma hanno tutte come matrice il non aver pensato e il continuare a non pensare al pubblico a cui gli ambienti sono destinati. E di nuovo questo ci provoca un certo disagio, con ripercussioni non solo sul nostro giudizio su chi ci cura, ma anche, in parte, sull’efficacia della cura stessa. La prima cura che desideriamo infatti è autentica attenzione verso di noi, non solo come malati.

Va detto poi che la trascuratezza progettuale spessa diventa trascuratezza di routine nel caso i responsabili della struttura non abbiano la cura di segnalarla e di scusarsi, nel caso non possano provvedere.

Spiacevole a dirsi, soprattutto se si ha un forte senso e rispetto di ciò che è pubblico, ma tutto ciò che ho citato di negativo non compare nelle strutture private che non intendono fallire. Questo fa pensare che è sufficiente concentrarsi davvero sulle esigenze e sulle preferenze degli utenti per trovare le risposte e le soluzioni appropriate.

La prima cura che desideriamo è autentica attenzione verso di noi, non solo come malati.

Alla ricerca della gradevolezza

Avevo chiesto di riflettere anche su possibile differenze fra ambienti destinati all’attesa dei pazienti e zone destinate all’incontro medici pazienti o amministrazione pazienti. Capita infatti molto spesso che queste seconde, percepite come private, siano più curate. Lo studio del medico o l’ufficio del personale amministrativo più spesso ha piante e fiori, suppellettili di un certo pregio, mobilio decisamente migliore, abbellimenti vari.

La spiegazione che viene data è che tanto più si passa del tempo in un ambiente tanto più si tende ad abbellirlo. Ma si potrebbe anche dire che il rispetto per chi ricorre al nostro lavoro, prescindendo dal tempo che si tratterrà con noi, dovrebbe non portare a differenze di allestimenti, con l’ovvia eccezione degli oggetti personali.

Avevo anche proposto di chiederci se riusciamo a formulare un giudizio sulla gradevolezza degli ambienti sanitari che conosciamo personalmente. Lascio ora a voi confrontare la vostra risposta con quelle prevalenti, che ci descrivono una situazione generale piuttosto carente e da migliorare.

Per concludere vorrei ricordare che gli ambienti di cui abbiamo parlato sono popolati, e questo, nel bene e nel male, costituisce una variabile molto, molto significativa.

Ma, come si dice in questi casi, questo è un altro capitolo.

fonte: Forward Recenti progressi

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