L’esitazione vaccinale negli USA. di Claudia Cosma, Primo Buscemi

Negli USA la mancanza di una polizza assicurativa è il principale predittore di una lontananza dalla campagna vaccinale più che il gruppo etnico, la posizione politica e il reddito annuo.

  All’inizio di giugno 2021 la campagna vaccinale negli Stati Uniti contro il Covid poteva essere considerata una missione di discreto successo: col 43% di popolazione immunizzata con due dosi, il presidente Joe Biden accarezzava il sogno di celebrare il 4 luglio il raggiungimento di un’immunità di gregge e la sostanziale fuoriuscita dalla pandemia. La sventurata comparsa della variante Delta, unita a un’esitazione vaccinale complicata da sradicare, ha fatto deragliare i piani di ritorno alla normalità. Ben presto più di 40 nazioni hanno superato per livello di copertura gli USA, dove nel frattempo è rimasto alto il tasso di mortalità della malattia. In pochi mesi è apparso in parte vanificato l’impegno profuso per il vaccino, disagiato da due amministrazioni di segno politico opposto, come arma per porre fine all’emergenza. Del resto, sin dalla scorsa estate, il principale indiziato della battuta d’arresto nell’adesione alla vaccinazione è proprio la matrice ideologica di una parte degli americani: nello specifico di quegli elettori di destra, repubblicani la cui dieta mediatica, per essere più chiari, è basata sulle trasmissioni di Fox News, la all news conservatrice che sulla pandemia e sull’importanza dei vaccini è stata spesso accusata di aver espresso messaggi, a esser generosi, abbastanza ambigui.

La sovrapposizione fra le preferenze di voto, la mappa elettorale dei singoli Stati e quella dell’universo statistico dei no vax è apparsa, in altri termini, la spiegazione più convincente della causa che aveva fatto inceppare la macchina delle immunizzazioni. Quanto è bastato a spingere proprio l’establishment del  “Grand Old Party”, in testa il leader dei Repubblicani al Senato – il polio survivor Mitch McConnell – a rivolgere pressanti inviti ai propri simpatizzanti affinché superassero ogni riserva. Il presidente Biden, a propria volta, si è dato da fare nel tentativo di recuperare quel pezzo di America sul quale ha sentimentalmente meno presa coinvolgendo, non ufficialmente, Franz Luntz, sondaggista e organizzatore di numerose campagne elettorali dei Repubblicani. La geografia politica potrebbe tuttavia non essere l’unica o la principale fonte dei guai americani. Almeno a questa conclusione è giunta la sociologa Zeynep Tufekci, che in un lungo editoriale (1) sul New York Times ha snocciolato dati e argomenti in grado di scagionare, almeno in parte, le divisioni partitiche.

Negli Stati Uniti il 68% della popolazione risulta protetto da almeno una dose di vaccino, quota che d’altro canto sale al 95% fra gli over 65. Vale a dire nella fascia demografica sicuramente più vulnerabile al Covid, ma anche maggiormente incline a votare Repubblicani e a sintonizzarsi sulla Fox. La diffidenza deve trarre forza pertanto da altre fonti, alcune connesse alle disfunzioni del sistema sanitario americano, altre all’impossibilità della sanità USA di offrire risposte flessibili: si va dalla carenza cronica di copertura assicurativa alle diseguaglianze razziali, per arrivare ai timori di effetti collaterali che possono sfociare in patologici attacchi d’ansia dinanzi anche alla semplice vista di un ago. La contrapposizione ideologica resta una variabile da considerare, ma con un peso da rivalutare con prudenza. È sufficiente ricordare, dunque, che solo il 12% degli adulti ovvero il 4% della popolazione americana oppone un secco no perché strenuamente convinto di non ricevere alcun beneficio dalla vaccinazione. Diversamente, posti di fronte a un obbligo sancito a livello aziendale in pochi resistono: appena 232 dipendenti su 67 mila della United Airlines e 16 operatori sanitari su 10 mila del North Carolina hanno deciso di assecondare fino in fondo la crociata no-vax e di rinunciare al proprio stesso impiego. Numeri che suggeriscono una strategia più ad ampio spettro per superare le perplessità dei recalcitranti: “Abbiamo bisogno di sviluppare un approccio realistico, informato e profondamente pragmatico per affrontare le nostre manchevolezze – scrive Tufekci – senza cedere a cospirazionisti, imbroglioni e demagoghi, e senza sottovalutare le storiche disuguaglianze nelle cure e la debolezza della nostra infrastruttura sanitaria”. Elementi che si tengono insieme alla maniera di un ideale e poco virtuoso fil rouge e che rimandano alle disfunzioni della politica sanitaria americana.

Così se per la Kaiser Family Foundation la mancanza di una polizza assicurativa è il principale predittore di una lontananza dalla campagna vaccinale più che il gruppo etnico, la posizione politica, il reddito annuo, proprio l’assenza di una copertura fa, ad esempio, aumentare le ansie per i possibili effetti collaterali. In primo luogo, per l’impossibilità di ricevere consigli da un medico curante, in secundis, per gli enormi costi da accollarsi personalmente nella pur remota eventualità di una lieve malattia. Diventa a questo punto controintuitivo riscontrare che il gruppo più vaccinato in America, quello degli anziani con più di 65 anni, è anche lo stesso che può accedere regolarmente a medici e cure grazie al programma di assistenza finanziato dal governo federale: il Medicare. Le diseguaglianze nella copertura sanitaria si trasformano, dunque, in un combustibile che fa aumentare in misura formidabile la diffidenza verso le istituzioni sanitarie e che contribuisce a gonfiare, inevitabilmente, anche l’esitazione vaccinale. A conferma di quanto detto, secondo il consorzio Covid States Project, il 71% dei vaccinati mostra fiducia verso dottori e ospedali contro appena il 39% dei non vaccinati. Quanto al divario razziale, le distanze nell’ultimo anno si sono accorciate, ma sono tutt’altro che svanite nella società americana. Spicca tristemente il dato di New York con poco più del 40% di afroamericani vaccinati, il tasso più basso fra tutti i gruppi demografici presenti nella megalopoli. Parliamo di una fascia di popolazione indubbiamente non propensa ad apprezzare i settori più intransigenti dei Repubblicani o a sintonizzarsi su Fox. La pessima performance vaccinale aggrava gli interrogativi, invece, sul funzionamento, per dirla alla maniera della professoressa Tufekci, dell’infrastruttura. A tal proposito, anche se non citata dalla prestigiosa sociologa, ci viene in soccorso una metanalisi (2) da poco pubblicata sul Journal of the American Medical Association (JAMA), condotta da un gruppo di studiosi californiani, che passa ad attento setaccio l’impatto del Covid-19 su 4,3 milioni di persone negli Stati Uniti. Ne discende che, rispetto ai bianchi, le minoranze hanno presentato un rischio di contagiarsi maggiore: circa 3 volte più alto per gli afroamericani e 4 volte più alto per gli ispanici. Gli asiatici hanno presentato, invece, un rischio più elevato di ingresso in terapia intensiva. Un tasso ridotto di accesso alle cure, in questo senso, è andato a braccetto con una maggiore positività al Covid fra ispanici e afroamericani mentre una più generale deprivazione materiale ha comportato un maggior tasso di mortalità fra asiatici e latinos. La revisione, pur scremando il 99% degli studi presentati dal primo gennaio 2020 al 6 gennaio 2021, presenta alcune carenze di dati sulle comorbidità dei pazienti e statistiche a volte troppo eterogenee per misurare in maniera affidabile la consistenza delle differenze fra i gruppi demografici, ma la rilevanza del problema resta intatta. Anche in Italia fra l’altro, durante la pandemia le minoranze hanno risentito di difficoltà di accesso alle cure e alla vaccinazione (3).

Meritevole di analoga considerazione è l’impatto delle paure per gli effetti collaterali della vaccinazione, specie a lungo termine, e della stessa iniezione. Fino al 25% degli americani ha paura degli aghi e questo può spingere, ci rammenta l’editorialista del NYTimes, il 16% degli adulti a rifiutare o a ritardare la vaccinazione. Per la gestione dei pazienti più apprensivi Canada e Regno Unito hanno mobilitato il loro sistema sanitario, talvolta pensando a soluzioni ad hoc come stanze protette. Una campagna informativa ad hoc, inoltre, potrebbe rivelarsi determinante nel fugare le angosce di gravi effetti indesiderati della vaccinazione nel lungo periodo, facendo tesoro dell’esperienza come indicato dall’immunologo Andrew Croxford. In questo non sempre confortante contesto, anche la sfida contro manipolazioni e demagogia può assumere un carattere di maggiore efficacia, coadiuvando il completamento del roll-out vaccinale. A condizione questo, sostiene Tufekci, di saper denunciare le contraddizioni del fronte più scettico. Incongruenze che assumono a volte caratteri surreali. Si scopre, pertanto, che mentre gli anchormen più battaglieri di Fox News si fanno portavoce delle diffidenze sui vaccini l’emittente americana del gruppo di Murdoch vanta un tasso di copertura del proprio personale superiore al 90%. Come dire, se Fox fosse uno Stato a sé stante e battesse una propria bandiera e una propria moneta vanterebbe un tasso di immunizzazione in grado di rivaleggiare con Singapore e gli Emirati Arabi Uniti, staccando nettamente Texas, Florida e pure qualsiasi roccaforte elettorale repubblicana o democratica che sia.

Quando pensiamo all’antivaccinista statunitense, dovremmo pertanto superare i pregiudizi e abbandonare l’immagine che domina i media del no-vax bianco, di estrema destra, appassionato di complotti di QAnon, perché potrebbe portarci a ignorare il problema tristemente attuale delle diseguaglianze di salute, oltre che farci dimenticare la complessità del fenomeno dell’esitazione vaccinale, che va affrontato con approccio razionale e diversificato.

Autori: Claudia Cosma e Primo Buscemi, Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva, Università di Firenze

Bibliografia.

  1. Zeynep Tufekci, https://www.nytimes.com/2021/10/15/opinion/covid-vaccines-unvaccinated.html, The New York Times, 15.10.2021
  2. Magesh, Shruti, Daniel John, Wei Tse Li, Yuxiang Li, Aidan Mattingly-App, Sharad Jain, Eric Y. Chang, and Weg M. Ongkeko. “Disparities in COVID-19 Outcomes by Race, Ethnicity, and Socioeconomic Status: A Systematic-Review and Meta-Analysis.” JAMA Network Open 4, no. 11 (November 1, 2021): e2134147. https://doi.org/10.1001/jamanetworkopen.2021.34147 .
  3. Salvatore Geraci e Alessandro Verona, https://www.saluteinternazionale.info/2021/03/gli-invisibili-e-il-diritto-al-vaccino/, Salute Internazionale, 29.03.2021

fonte: saluteinternazionale.info

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