La “peste” del riduzionismo individuale della salute. di Cesare Cislaghi

Alla Salute ciascuno ci deve pensare da sé ” … “Alla salute delle persone ci deve pensare lo Stato“. Queste due posizioni estreme sembrano quasi grottesche anche se c’è chi le ha teorizzate! È chiaro per tutti, almeno sul piano teorico, che vi sono determinanti della salute sia individuali sia collettivi e che la responsabilità del mantenimento della salute debba essere condivisa tra le persone e la società.

Ma oggi è in corso una “epidemia ideologica” che tende a ridurre esclusivamente alla sfera individuale tutto ciò che riguarda la salute. Forse chissà può essere una reazione al lockdown in cui tutti hanno dovuto rinunciare alla propria libertà di movimento perché lo Stato ha ritenuto che solo così si sarebbe potuta contenere la pandemia.

La cultura medica insegnata nelle nostre Università è per lo più una cultura che prende in considerazione quasi solo i bisogni ed i fattori di rischio individuali: l’oggetto di studio è il corpo, i sintomi, le malattie, le diagnosi, le terapie dell’individuo. Dei fattori di rischio si parla poco e di sanità pubblica quasi nulla, insegnamento confinato a poche ore e per lo più scarsamente considerato nel curriculum: chiediamoci, ad esempio, quanti studenti scelgono tesi di lauree che riguardano temi di sanità pubblica: molto pochi, se non addirittura quasi nessuno!

In questi giorni si assiste ad una ripresa, non si sa ancora se limitata od ampia, dei contagi e la maggioranza degli infettivologi ne attribuiscono la causa alle nuove varianti come la “Cerberus” tralasciando di considerare se magari l’abbandono di quasi tutte le misure di contenimento sia per lo meno una concausa se non addirittura la causa prevalente della crescita dei contagi. Se la causa è la variante, allora il problema riguarda soprattutto i singoli che devono provvedere a proteggere i propri contatti, se invece la crescita dei contagi, anche con la complicità della variante, sono le ridotte precauzioni collettive, allora la responsabilità è innanzitutto collettiva.

Se l’epidemia diventa un fatto fondamentalmente privato, allora la società può ignorarla continuando la vita della comunità e le attività economiche come se il virus non ci fosse. I fattori di rischio collettivi invece come l’inquinamento, le epidemie, il clima, la povertà, ma anche i comportamenti individuali favoriti da scelte pubbliche, necessitano di misure che determinano dei correttivi nella vita pubblica. Si è tolta qualsiasi norma tendente al contenimento della circolazione del virus ed ora, addirittura, si parla di abolire l’isolamento dei contagiati!

Per capire meglio quanto si vuol dire può servire fare una analogia con il settore della sicurezza. La sicurezza nei confronti dei delitti e dei nemici è un fatto individuale o un fatto innanzitutto collettivo? Avrebbe senso ritornare a quando i signorotti potenti avevano una schiera privata di guardie o addirittura si dotavano di eserciti? Certo la sicurezza contro i furti o addirittura contro le aggressioni è un bisogno delle persone, ma ci sarebbe sicurezza individuale senza sicurezza collettiva? Il problema della salute è un po’ diverso ma l’esempio spero aiuti a chiarire.

Questo è il pericolo culturale odierno: far diventare la salute un fatto esclusivamente privato! Il passo successivo immediato sarà così la privatizzazione della sanità! E addio 833, addio SSN! Le conseguenze non saranno solo sul versante dell’equità, ma verrà meno anche la salute della collettività e ne risentiranno sempre più anche i singoli anche se avranno tante risorse da spendere per proteggersi individualmente. E ricordiamoci che durante l’epidemia anche i ricchi e i potenti si ammalano e purtroppo talvolta muoiono anche se con tanti mezzi per pagarsi le cure!

fonte: E&P

il blog di Cesare Cislaghi

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