Vita e morte in cella, così il governo aggrava la pena. di Patrizio Gonnella

“Nodo alla gola” è il titolo del prossimo Rapporto di Antigone sulle carceri. Sono già 28 i suicidi nel 2024.

L’ultimo della lunga e tragica sequenza è stato quello di un giovane trentaduenne nel carcere cagliaritano di Uta. Era finito in prigione un paio di giorni prima per furto. Lui è l’immagine di un sistema penale e penitenziario in crisi. Nelle carceri si respira un’aria di tensione preoccupante. Il personale deve governare durante la giornata situazioni drammatiche: detenuti che stanno male, detenuti a cui manca lo spazio vitale in quanto il sovraffollamento è cresciuto enormemente (sono 61mila secondo le più recenti rilevazioni, i più alti nell’ultimo decennio), detenuti che si tagliano, detenuti che non capiscono perché devono essere sempre chiusi in cella mentre prima non lo erano, detenuti che sono confinati in celle con letti a castello a tre piani fino anche a venti ore al giorno, detenuti che non possono andare a scuola perché la scuola è stata trasformata in dormitorio, detenuti che vorrebbero telefonare frequentemente ai propri cari come al tempo del Covid ma che non gli è più consentito, detenuti che diventano aggressivi, detenuti che subiscono aggressioni, detenuti che vengono puniti con l’isolamento, detenuti che si tolgono la vita o che ci provano e vengono salvati in extremis.

Di fronte a tutto ciò si preannunciano alcune misure da parte del Governo, da un lato per prevenire i suicidi e dall’altro per ridurre la pressione data dall’affollamento carcerario. Vengono stanziati cinque milioni di euro per rinforzare l’assistenza psicologica. Viene aumenta l’irrisoria paga oraria degli operatori in servizio che fino a gennaio 2024 ricevevano soli 17 euro lordi l’ora. Con quelle cifre è chiaro che il carcere sarà l’ultima opzione di lavoro per qualsiasi professionista. È ciò sufficiente per prevenire gesti suicidari? La storia del giovane che si è tolto la vita a Cagliari ci dimostra che molti suicidi avvengono nell’immediatezza dell’arresto e sono segnati da disperazione, senso di abbandono, solitudine.

Chiunque abbia esperienza di vita carceraria ben sa come i reparti dedicati ai nuovi giunti o alla prima accoglienza, come ad esempio accade a Regina Coeli a Roma e in altri istituti metropolitani, sono quelli peggio messi dal punto di vista strutturale, igienico. Sono luoghi dove vengono concentrati tutti i problemi del mondo come nei pronto soccorso ospedalieri. Invece, quelle prime giornate dovrebbero essere destinate alla presa in carico umana, all’informazione, alla cura. Dunque, sarebbe rilevante investire risorse per modernizzare e umanizzare questa fase della detenzione. Così come è urgente modificare le regole penitenziarie prevedendo per la gran massa dei detenuti la possibilità di telefonare quotidianamente ai propri cari. Una telefonata a una voce amica e cara può salvare una vita.

Per contrastare il sovraffollamento, invece, sono annunciate le solite misure di trasferimento dei detenuti stranieri nei paesi di provenienza. In questo caso si fa riferimento agli africani. Si tratta di annunci già sentiti numerose volte da vent’anni a questa parte. Sono proposte inefficaci (gli Stati tendenzialmente si sottraggono) e ingiusti (forte è il rischio di finire in carceri dove alto è il rischio di sottoposizione a tortura). Senza considerare che vi sono poco meno di tremila detenuti italiani all’estero che a condizione di reciprocità potrebbero rientrare in Italia, qualora gli altri Paesi ragionassero allo stesso modo. Servirebbe ben altro, in termini di decarcerizzazione e depenalizzazione per ridurre il sovraffollamento.

Il governo dovrebbe intanto fare immediatamente un passo indietro, se non vuole definitivamente affossare il sistema penitenziario: ritirare il disegno di legge, la cui discussione è già iniziata alla camera, che introduce il delitto di rivolta penitenziaria e prevede nuovi reati contro gli occupanti di case e chi protesta con blocchi stradali. Se mai dovesse passare, da un lato avremo un carcere dove anche chi disobbedisce in forma nonviolenta a un ordine rischia anni di galera e dall’altro avremmo migliaia di nuovi ingressi dalla libertà. Prima di tutto, dunque, ci ripensino per non passare alla storia come il governo che avrebbe punito anche Ghandi.

fonte: https://www.antigone.it/news/3537-vita-e-morte-in-cella-cosi-il-governo-aggrava-la-pena

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