Don Milani economista. di Riccardo Cesari

Il 27 maggio si celebra a Barbiana il centenario della nascita di Lorenzo Milani, una delle figure più significative del Novecento italiano. Non solo maestro ed educatore, anche il suo messaggio come economista rimane originale ed estremamente attuale.

Il centenario

Cade in questo mese di maggio il primo centenario della nascita di Don Lorenzo Milani (1923-1967), figura incandescente del cattolicesimo italiano, ma anche del pensiero laico e persino dell’indagine scientifica, sociale ed economica.

La marcia Vicchio-Barbiana del 27 maggio, cui parteciperà anche il Presidente della Repubblica, è segno inequivocabile dell’importanza, ancora oggi, del suo originale messaggio.

In particolare, nonostante l’amplissima letteratura a cui le sue opere e i suoi scritti hanno dato vita, un aspetto che è stato a lungo trascurato è il suo contributo di attento indagatore della realtà economica locale tra gli anni Cinquanta e Sessanta, con analisi e considerazioni ancora oggi da meditare.

Nel suo primo e unico libro, “Esperienze pastorali” (1958), sotto quel titolo in apparenza così “assolutamente scoraggiante” (come scrisse Indro Montanelli in una recensione memorabile) si trova uno studio acuto e penetrante della condizione operaia e della vita delle famiglie meno abbienti con una valenza che va molto al di là dell’area fiorentina, cui i dati si riferivano, e dell’epoca in cui le elaborazioni venivano fatte.

Come notò acutamente Montanelli, di fronte a tutti quei grafici e tabelle, “questo libro è stato scritto, e anche stampato, con tale spregio di tutto ciò che può costituire richiamo per il lettore, da disarmare qualunque diffidenza sulle sue intenzioni”.

Segnalo solo alcuni degli aspetti più interessanti che emergono da quelle pagine, rinviando al mio testo “Hai nascosto queste cose ai sapienti” per ulteriori approfondimenti.

Migrazioni, lavoro, famiglia e disuguaglianze 

Innanzitutto, ci sono i dati sulle migrazioni interne: dalla montagna al piano, alla città, dai campi alle fabbriche, dalla condizione contadina a quella operaia. Accanto a un originale indice “di appetibilità dei poderi”, Don Milani nota come i rari casi di proprietà privata della terra (anche se poca) siano sufficienti a spiegare la maggiore stabilità alle famiglie. “Che aspettiamo dunque”, si chiede, a dare la proprietà della terra a chi la lavora, il bestiame a chi ha il coraggio di pulire la stalla, i boschi a chi ha il coraggio di viverci?

Anche se le preoccupazioni di Don Milani sono soprattutto di ordine apostolico e pastorale, le sue analisi, oggi diremmo di statistica economica applicata, sono interessanti sia per contenuto che per metodo.

Il priore di Barbiana ne ricava una indicazione sulla portata “storica e irreversibile” della fuga dai monti che, a ben guardare, non è estranea al degrado idrogeologico dell’intero territorio nazionale. Con l’esodo delle famiglie, nota, “sono scese al piano anche le case”.

Un secondo insieme di informazioni riguarda le condizioni abitative (case, abitanti, famiglie, relazioni di parentela). Anche qui non mancano le osservazioni originali, tra cui il calcolo dell’affollamento non in termini di numero di vani, ma in termini di numero di letti disponibili, “nozione illuminante” come scrisse, con stupefatta ammirazione, un lettore autorevole come Luigi Einaudi.

Un intero capitolo, con una lunga appendice, è dedicato al tema del lavoro. Con grande acutezza la dinamica della forza lavoro, misurata con metodi artigianali ma non di meno efficaci, è attribuita “a due opposte cause: diminuzione delle nascite e allungamento della vita”. “Il progresso – nota ironicamente Don Milani – è arrivato coi suoi due classici doni: antifecondativi e antibiotici”. Vi si legge anche, con toni spesso drammatici che ricordano la letteratura inglese sulla prima rivoluzione industriale, la denuncia del lavoro nero e di quello minorile, il problema della produttività del lavoro e del salario, la disoccupazione ufficiale e quella effettiva, il progresso tecnologico e la scarsa sicurezza dei lavoratori, che purtroppo ritorna, con tragica puntualità, anche nelle cronache di oggi, a 70 anni di distanza.

Il tema della disuguaglianza, di istruzione come di reddito, è messo in luce più volte.

“L’operaio d’oggi col suo diploma di quinta elementare – nota in un confronto su dati secolari – è in stato di maggior minorazione sociale che non il bracciante analfabeta del 1841”. Aggiornando le comparazioni, la frase ha ancora oggi tutta la sua validità.

Tra le tante misurazioni originali proposte nel libro, segnalo un indicatore di disuguaglianza sociale basato sulla velocità di spostamento. Se nel 1852 l’operaio andava a piedi (a 6 chilometri l’ora) e il ricco in carrozza (a 15 chilometri l’ora), cent’anni dopo l’operaio va in moto (a 60 chilometri l’ora) mentre il ricco vola (a 900 chilometri l’ora): la diseguaglianza da un fattore 2 è salita a un fattore 15 e da qui non ha cessato di crescere nei decenni successivi.

In sintesi, accanto alla più nota immagine di un Don Milani maestro ed educatore, sacerdote e pastore d’anime, va messa anche quella, non meno penetrante, di un Don Milani economista, osservatore acuto della realtà che lo circondava e che, a ben guardare, non è molto diversa dalla nostra nei tanti problemi aperti e ancora irrisolti.

La sintesi più efficace la fece Elémire Zolla (1959): “Ha studiato la sua parrocchia e gli è bastato per capire l’intera struttura del mondo moderno”.

fonte: https://lavoce.info/archives/101223/don-milani-economista/

Riccardo Cesari chi è

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